La Turchia? Si tratti, si apra il negoziato senza ulteriori e ingiustificati indugi o ritardi. Il Parlamento europeo è stato chiarissimo facendo da battistrada al summit dei capi di Stato e di governo che comincia stasera a Bruxelles.
Ha approvato, in un clima di eccitazione, il rapporto dell'olandese Camiel Eurlings, un giovanissimo esponente del Ppe, che ha dovuto attraversare il mare di ostilità del suo gruppo e subire, persino, l'onta di un voto segreto chiesto dai suoi, in combutta con le destre nazionaliste e xenofobe, sul sà o no ad una trattativa che possa condurre sino all'adesione piena di Ankara all'Unione. Invece è andata. Alla grande. Quelli del «chi non salta musulmano è» sono stati serviti dal Parlamento che, con un voto massiccio, (407 voti a favore e a scrutinio segreto, ha battuto gli oppositori dubbiosi, paurosi, e, per una parte, anche euroscettici e razzisti (262 voti).
Dunque, da un'aula delle grandi occasioni con solo 41 assenti su 732 componenti, un «sû pieno sotto un testo che rifiuta l'ipotesi di soluzioni come la «partenership privilegiata» al posto dell'adesione, che è attento a ricordare che non saranno fatti sconti in materia di diritti umani, di rispetto delle minoranze nè accetterà ripensamenti nel processo riformatore in corso.
Il pronunciamento del Parlamento dovrebbe essere di considerevole aiuto per il Consiglio Europeo che ha la Turchia in cima ai suoi pensieri, insieme al varo di un pacchetto di misure anti terrorismo e ad uno scambio di idee con Kofi Annan. Il presidente di turno, l'olandese Jan Peter Balkenende, ha confessato ieri che il summit è orientato per il via libera al negoziato. Anche se, ha ricordato, c'è bisogno dell'unanimità . Infatti, il negoziato tra l'Ue e la Turchia è, nei fatti, una trattativa intergovernativa. Ed è necessario, per Trattato, il consenso di tutti e 25 gli Stati dell'Unione.
Parlando in tv Chirac ha spiegato ai francesi il suo sì condizionato all’avvio del negoziato. Il voto di mercoledì del Parlamento è solo un atto politico non vincolante anche se l'aula di Strasburgo dovrà successivamente ratificare l'eventuale adesione, cosà come tutti gli Stati. Nella decisione del Parlamento sono ricordati altri paletti irrinunciabili come la questione del riconoscimento di Cipro (ormai parte dell'Unione) da parte di Ankara, il riconoscimento in qualche forma del genocidio degli armeni nel 1916. Questioni che sarebbero riproposte nel documento all'esame dei capi di Stato e di governo ma che il premier turco Recep Tayyip Erdogan non vuole in maniera tassativa che stiano là a rappresentare delle condizioni inderogabili.
Prima di partire per Bruxelles, Erdogan non ha avuto peli sulla lingua. «Non accetteremo condizioni inaccettabili», ha detto. Il suo viaggio verso l'Europa non intende farlo in seconda classe. Se malauguratamente dovessero addensarsi nubi pesanti, il premier turco ha garantito che Ankara si ritirerà in buon ordine, «metterà in frigorifero il dossier e proseguirà sul proprio cammino». Ha promesso che «non sarà la fine del mondo».
Ma anche che la Turchia «non esiterà a dire il suo no» se l'offerta dell'Unione, per la quale premono alcuni governi, più o meno in maniera palese, fosse quella della «partnership privilegiata». In questo caso la partita non si giocherebbe nemmeno. Campionato finito prima del calcio d'inizio. Il ministro degli esteri, Abdullah Gul, ha ribadito il concetto: «Non diremo di sà a qualsiasi prezzo, le clausole di salvaguardia permanente devono essere soppresse. Da parte nostra procederemo sul nostro cammino perchè la Turchia è in grado di raggiungere l'obiettivo con le proprie forze». La presidenza olandese ha anticipato ufficialmente che chiederà ad Ankara il riconoscimento di Cipro. Lo ha detto il ministro per gli Affari europei, Atzo Nicolai, parlando a Strasburgo. In effetti, nel momento in cui si aprisse il negoziato con l'Ue, il governo di Ankara, sia pure indirettamente ammetterebbe l'esistenza del governo cipriota. La questione è sul tavolo, tra i passaggi da definire nel documento finale, nella soluzione di compromesso che tutti si attendono: l'apertura del negoziato, a partire da una data certa (forse nell'ultima parte del 2005), che durerà per parecchi anni. Una trattativa che si presenta con un carattere «aperto», che potrà avere un esito positivo o negativo. Ma sempre avendo presente che il negoziato si svolgerà con l'obiettivo dell'adesione. Si vi si giungerà è altra storia. Di sicuro, Ankara compirà tutti gli sforzi, secondo le promesse. Il presidente del Parlamento, Josep Borrell, dopo il voto, ha riconosciuto che esiste, in Europa, un problema legato alla paura di tutto ció che è ignoto.
La Turchia è vista, da certe parti, con questo sentimento. «Ma meglio far conoscere la Turchia per dimostrare che si tratta di preoccupazioni infondate». L'Europa, ha detto Nicola Zingaretti (gruppo Pse) ha scelto la strada del dialogo e non di chi, come Oriana Fallaci, «predice odio e guerra». Il voto a favore dei negoziati è stato sostenuto dall'intero schieramento di centro sinistra, dai liberali (con l'eccezione dei francesi dell'Udf di Bayrou) ai comunisti. I parlamentari dell'Alleanza italiana hanno firmato un documento comune («Sarebbe un errore non aprire il negoziato»), i radicali anche a favore.
Dichiarazioni soddisfatte di Agnoletto, Bonino, D'Alema, Di Pietro, Rizzo. Il Ppe è uscito dilaniato, in compagnia dei nemici dell'Europa, Lega Nord in testa. Ma Forza Italia ha votato a favore con un imbarazzato Tajani che ha regalato a tutti una battuta comica: «Ha vinto la linea di Berlusconi»!
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