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Fecondazione, attenti al pateracchio
Parte la corsa a proposte ed emendamenti pur di evitare il referendum. E pur di lasciare in piedi l'impianto di una legge illiberale.

• da Panorama del 17 dicembre 2004

di Emma Bonino

Non so voi, ma io comincio a sentirmi stanca delle risse, delle polemiche, dei battibecchi che sembrano assorbire il tempo e lo spazio della “politica ufficiale” in Italia. Un paio di settimane fa, in un bell’intervento su “Il Riformista”, Emanuele Macaluso ha giustamente parlato di una specie di “scafandro” che imprigiona il ceto dirigente italiano, e gli impedisce non solo di comprendere, ma addirittura di “percepire” quel che accade “fuori”, “oltre”, al di là -appunto- dello “scafandro”. C’è gran bisogno -invece- di qualcosa che ci aiuti ad uscire dalle secche, che alzi il livello del discorso pubblico nel paese, e che ci “costringa” tutti a parlare di cose che riguardano o possono riguardare il 100% di noi e delle nostre famiglie. Quei referendum su cui (dapprima -in gran solitudine- noi radicali; e poi tanti altri, da destra a sinistra: e, avrebbe detto Totò, con grande entusiasmo degli “uomini” -e delle donne!- contrapposto al solito terrore dei “caporali”, cioè dei capi partito) questa estate abbiamo raccolto una valanga di firme possono aiutarci, in questo senso. Proverò a dire perché.


A mio avviso, quella sulla fecondazione assistita è davvero una brutta legge. Da una parte, costringe le coppie sterili, o portatrici sane di malattie genetiche (solo quelle che possono permettersel) ad andare all’estero, perché (dalla Spagna - sin dai tempi di Aznar - all’Inghilterra di Tony Blair) ovunque vige una regolamentazione più liberale della nostra. Dall’altra, blocca quella ricerca sulle cellule staminali embrionali che potrebbe essere decisiva (come sostiene la maggioranza degli scienziati in tutto il mondo) per la cura di malattie terribili, dal cancro al diabete, dal Parkinson all’Alzheimer. E a quanti obiettano che risultati interessanti potrebbero venire anche dalle cellule staminali adulte, rispondiamo che siamo d’accordo: la ricerca ha dinanzi a sé due porte entrambe promettenti, e non si vede per quale ragione debba precludersene a priori una delle due. Così come, al di là della creazione di nuovi embrioni a scopo di ricerca, esiste l’opportunità di usare anche gli embrioni che già esistono (in Italia sono più di 30mila): e non si capisce cosa ci sia di ragionevole nel gettarli via, nel buttarli in un lavandino (perché dopo un certo periodo di tempo divengono inutilizzabili) anziché destinarli ad una ricerca che potrebbe salvare tante vite.


Ora, contro queste ed altre anomalie contenute nella legge, (ivi compreso addirittura il divieto della diagnosi pre-impianto) abbiamo promosso (come Radicali italiani e come Associazione Luca Coscioni) un referendum di abrogazione totale della legge, e (insieme a tanti altri) anche alcuni quesiti di cancellazione -almeno!- delle sue parti più oscurantiste. Abbiamo raccolto molte firme, ben più delle 500mila necessarie, e ora vorremmo solo (pensate un po’ che gran pretesa) dare la parola ai cittadini…Ma i guai cominciano proprio qui.
Intanto, c’è già chi, in Parlamento, sta provando a cucinare una leggina “anti-referendum”. La storia è piena di questi espedienti: nel ‘73-74, per evitare che i cittadini potessero pronunciarsi sul divorzio, si escogitarono altri papocchi del genere, dalla "legge Bozzi" alla "legge Carrettoni". Come Marco Pannella ricorda spesso, ognuno proponeva il suo "sarchiapone": chi tirava fuori il "divorzio polacco", chi si accontentava di limitarlo ai soli matrimoni civili (cioè, allora, a circa al 2% delle unioni). Insomma, qualunque cosa pur di evitare il referendum. Ma i radicali, i socialisti, i liberali, i laici tennero duro, e si giunse al voto del maggio ’74. Oggi, l’obiettivo delle “leggine” (temo) sarebbe assolutamente analogo: da una parte, lasciare in piedi l’impianto illiberale della legge, modificandone solo aspetti marginali; dall’altra, sfilare dalle mani degli italiani la scheda referendaria.
Poi ci si dice (altro spauracchio) che il referendum “spaccherebbe” il paese. Per la verità, il paese, su questi temi, non si è mai spaccato, perché proprio l’elettorato cattolico ha sempre saputo distinguere tra le proprie personali convinzioni e la necessaria laicità delle leggi dello Stato, che devono consentire a ciascuno di poter compiere la propria scelta. Come mi capita spesso di ricordare, dinanzi a fenomeni come il divorzio, l’aborto (e, oggi, la fecondazione assistita o il ricorso a particolari terapie), un conto è dire “io non lo farei” (cosa -ovviamente- ultralegittima); altra cosa è invece passare al “tu non lo devi fare”, cioè alla pretesa(questa si, integralista) di imporre a tutti il proprio punto di vista, il proprio orientamento morale o religioso.

In ogni caso, la Cassazione ha già dato il suo “via libera”, e ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità dei quesiti. Nei decenni passati (inutile nasconderlo) noi radicali abbiamo espresso forti critiche alla Consulta, che -a nostro avviso- troppe volte ha sottratto ai cittadini la possibilità di pronunciarsi, inducendo perfino ex Presidenti della stessa Corte ad ammettere il carattere “politico” delle decisioni prese. Stavolta, mi sento di esprimere un’attesa fiduciosa nel giudizio che avverrà a metà gennaio. Mi auguro che la Corte possa far tesoro del vero e proprio coro di costituzionalisti che, intorno al professor Michele Ainis, hanno da giorni formulato un pronostico favorevole, attestando la piena ammissibilità di tutti i referendum sottoposti all’esame della Consulta. E intanto (e sono molto grata a ciascuna e a ciascuno di loro), un centinaio di parlamentari, più di settecento scienziati, personalità di ogni convinzione ed appartenenza, hanno a propria volta lanciato un grande appello, affinché (comunque la si pensi nel merito) non si sottragga agli elettori la possibilità di andare al voto.
Vedremo: e vedremo anche quale sarà la data prescelta dal Governo per le consultazioni, che non é cosa irrilevante.
L’opportunità di un grande e bel dibattito che unisca il paese, che lo coinvolga in un confronto appassionante, c’è tutta, ed è a portata di mano. Mi auguro che non venga sciupata: l’Italia non ha bisogno né di altri rimpianti né di altri rimorsi e neppure di altri pateracchi.

 

 



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