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Una bella contestazione del “lato buono” del nichilismo.
Con breve replica

• da Il Foglio del 21 dicembre 2004, pag. 4

di Angiolo Bandinelli

Al direttore - Filosofi autorevoli, ospitati dal suo giornale, ci rassicurano: accanto al nichilismo- nichilismo, distruttore di valori e di identità, c’è anche un nichilismo operoso e utile, del quale potrebbe divenire simbolo la tela della saggia Penelope: leggo di un “nichilismo metodologico”, “moderato, ragionevole, prudenziale”, che sarebbe perfino utile a contenere le pretese di quanti divengono “irrispettosi e violenti” perché in possesso di una loro verità assoluta. Resto un po’ perplesso: a quando l’Algarotti con un suo inedito “Nichilismo per le dame”, come nell’illuminismo più salottiero? In lontani studi, di quel temibile morbo dell’occidente io mi ero fatto una diversa immagine. Ricordavo (per dire) che il mondo cosmologicamente compatto dei greci ci ha regalato una mirabile “scepsi” logico-dialettica, quella esercitata dai sofisti col loro inquietante interrogare (“ti estì touto?”, cosa è questo?) che giostrava attorno al “nome”, cioè all’“essenza” delle cose. Non so se era già nichilismo, i suoi filosofi oggi me lo fanno sospettare. Quasi casualmente, scoprii poi che Gesù aveva introdotto nel mondo la dimensione “ontologica” del nulla, una sorta di nichilismo radicale. Nato ebreo, certamente Gesù conosceva l’incipit biblico, con il Dio che crea “ex nihilo” il mondo e tutte le sue cose; mi parve però, a un certo punto, che lui, con la sua morte, ce ne abbia dato una interpretazione estremamente più drammatica. Accade quando, agonizzante sulla croce, esplode nel grido “Eli, eli, lama sabactani” (“Padre, padre, perché mi hai abbandonato”?). In quel momento Gesù realizza, su di sé e sul suo corpo, la condizione esistenziale dell’essere “gettato”, abbandonato, ridotto a un nulla privo di sostegno e fondamento. I Vangeli sono chiari, pur se non espliciti: Gesù muore nell’abbandono assoluto da parte di Dio. Realizza la situazione, che mi pare i greci non conobbero, della “creatura”. Il padre (e che Padre!) lo ha respinto lontano da sé, lo ignora. L’Essere “crea” l’Esistente (avrebbe detto Gioberti) ma allontanandolo, e in questo modo dandogli la coscienza del (suo) nulla. Mi pare che nessun buonismo professorale possa scalfire l’angoscia assoluta di questo dramma. Nel cristianesimo più o meno consapevole entro il quale tutti storicamente viviamo, l’Esistente, cioè l’uomo, cerca di risalire fino all’Essere/ Dio, per farsene riconoscere e accogliere. Questa è la sostanza della fede dei credenti. Per i laici si tratta di un tema forte dell’ermeneutica esistenziale, forse non valida universalmente (per i buddisti, il nulla è compimento, non principio) ma che comunque non può essere ridotta a formulette. Scusi la lunghezza, e soprattutto le possibili fallacie nell’argomentare. Suo

Angiolo Bandinelli



Replica di Giuliano Ferrara

La verità rivelata doma il naturale nichilismo che affligge chi deve morire e non sa perché è nato né come vivere. Si può accettarla come avvenimento e legge, provarsi a confutarla sostituendo se stessi all’ipotesi del divino, ispezionarla e sollecitarla con l’aiuto della ragione naturale, antica, oggettivistica, quella che riconosce una realtà fuori del linguaggio. In quest’ultimo caso, occorre riconoscere un lato buono, per così dire, del nichilismo e del relativismo. Senza queste ombre non si fa luce, senza queste schiume non si naviga, anche se non ci fosse il porto.



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