Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 02 mag. 2024
  cerca in archivio   RASSEGNA STAMPA
Il giovane Marco
Questo autoritratto è parte del libro "Il mio Novecento di Marco Pannella", a cura di Valter Vecellio ed edito da Stampa alternativa. E vuole essere un omaggio personale del direttore Arturo Diaconale al leader radicale in nome della comune "abruzzesità".

• da L'Opinione del 30 dicembre 2004, pag. 3

di Marco Pannella

Nasco il 2 maggio del 1930. Alcuni sostengono che mamma dovette sforzarsi per evitare che io nascessi il 1 maggio festa dei lavoratori in pieno fascismo; si diceva che questo sarebbe stato interpretato politicamente. Sono abruzzese, molto abruzzese: è una razza di lupi, di orsi; però abbiamo anche il mare. Dove sono nato, a Teramo, credo sia proprio esattamente fra il Gran Sasso: la punta del Gran Sasso e il mare, Giulianova. Papà mi diede come nome Giacinto. Mamma accettò, per via di zio Giacinto monsignore, per il quale papà aveva una venerazione; e anche mamma, devo dire. Però convennero subito che sarei stato chiamato Marco: perché per mamma Giacinto si traduceva in Jacint, e Jacint era il nome che si dava alla recluta della Guerra mondiale, quella con tre narici, e scemo; e allora disse  no. E infatti da quel momento fui Marco. Mamma era di famiglia svizzera francese: si chiamava Andrea Estechon; papà invece teramano, abruzzese. Lui era segretario politico del fascio, a Teramo; era del '98. Nel 1917 parte volontario in guerra. Al ritorno va al Politecnico  di Torino, ingegneria; quando si laurea, pretende di andare a fare la specializzazione a Grenobhle, in quella che i francesi chiamavano la eau blanche, l'elettricità, unica in Europa. Va lì: prende la specializzazione, ma soprattutto prende moglie. Papà torna in Abruzzo con la moglie con i capelli corti, che non sa parlare italiano, con le gonne anche un poco corte, con patente di guida: insomma, non proprio una sciantosa, una puttana, ma qualche sospetto c'era. Quindi nasco, il 2 maggio del 1930 con mamma che è arrivata, ottima donna di casa, ma anche persona molto viva, molto vivace. Diciamo molto moderna. Per cui a quattro anni vado alla Montessori. La Montessori a Teramo non c'era, ma mamma era una donna di carattere, e volle che a Teramo ci fosse la Montessori.


Con alcune amiche riuscì nel suo proposito, credo sia stata la terza Montessori in Italia. L'integrazione, invece, per quel che ricordo fu massima subito. Ricordo tutte le famiglie di amici, di parentela con un ottimo rapporto con mia madre. Mia madre aveva fatto centro, aveva fatto colpo, ed era subito stata molto accettata. Un po' meno dai contadini, perché lei non voleva che io parlassi dialetto. Ora Antonio e Rituccia, che erano i miei vicini sapevano solo l'abruzzese; io adoravo Antonio e Rituccia, anche perchè ritenevo che la "franzosa" mi tenesse troppo a stecchetto, così scendevo da loro. Antonio e Rituccia si mettevano uno dei due di guardia, per vedere se la "franzosa" arrivava, l'altro mi rimpinzava di pane con la salciccia cruda. Per mia madre venire in Abruzzo nel 1927 era un pò come andare in Algeria. Mi ricordo, per esempio che a tavola molto spesso l'acqua era calda, bollita. Guai a mangiare salcicce crude, e cose di questo genere. Io credo che devo la robustezza della mia costituzione anche al fatto che mangiavo due volte in quegli anni: le deliziose cose che mamma sapeva cucinare e cucinava; e poi dalla zia Vittoria, cugina di papà, che mi dava di nascosto appunto salcicce; oppure Antonio e Rituccia, che facevano la stessa cosa . Nel progredire della fascistizzazione del paese, questa storia del parlare francese a casa cominciava ad essere qualcosa che cominciava a creare qualche serio problema. Anche mio padre aveva un po’ di timore per mia madre, che aveva mantenuto anche la nazionalità francese.
Nel 1938 eravamo a Pescara, io facevo scherma e violino. Il professore di violino, Righetti, emiliano, era in cuor suo repubblicano antifascista, ma insomma: di nascosto. Gli faceva piacere parlare clandestinamente in francese con questo allievo di violino di otto anni. Con me parlava di Les Temps, che era il Le Monde di allora, e parlava di politica. Lui con me si sfogava, sapeva di poterlo fare, e trovava in me probabilmente un interesse molto intenso.
A Pescara avevo dei compagni di giochi, tra gli altri i bambini di una famiglia che era amica della mia, e del maestro di musica Righetti. C'era una bambina, più grande di me, si chiamava Adria. Adoravo Adria: la guardavo, giocavamo sulla spiaggia, palla prigioniera e altre cose, e si scherzava, e io dicevo che ero fidanzato  con Adria. Sta di fatto che un giorno Adria non arriva, non mi ricordo, ero anche geloso, perché c'era un altro ragazzino. Non viene più Adria, e allora piangevo non sapevo perché non veniva più. Finché dal maestro Righetti vengo a sapere cos’ era successo: "Son partiti in ventiquattr'ore". Perchè? "Perché sono ebrei". Insomma, le leggi antiebraiche, razziali. Quell'estate è stata centrale per tutta la mia vita, in fondo nasce lì nei suoi connotati maggiori.


Nell'estate del '38 per esempio mi mandano per un mese, per un mese e mezzo, in Francia in Alta Savoia, dal segretario comunale e maestro, ospite, per fare francese. Quest'uomo si era sposato da due mesi, dopo essere stato vedovo, con la figlia del fornaio. C'era un figlio, Emile, e io dormo nella stanza di Emile che parte per fare il militare; ma lui non vuole andarci, dice che è una stupidaggine, e cose così. E si parlava in qualche modo di obiezione di coscienza. Poi mi dice che il papà e la mamma litigavano. Alla fine Emile parte, non fa obiezione di coscienza; e a questo punto una violenta scenata perché bisogna decidere se io dovevo dormire con lui o con la signora: perché appunto i due non dormivano più insieme.

Cominciano a volare i piatti, e allora lei mi racconta delle cose, a sfogarsi che lui ha delle altre; e a questo punto sento parlare di divorzio. Allora: incontro il divorzio, l'obiezione di coscienza, le differenze sociali, sento parlare che il ragazzo è andato a fare il militare e teme di dover fare la Guerra, collego tutto. Sta per scoppiare la Guerra, sento molto nervosismo intorno a me. Mio padre non risponde ad un telegramma che poi si scopre non essere mai stato recapitato. Diceva: pericolo di guerra, vieni a prenderlo subito. Un giorno mio cugino Marc, di tre anni più grande, entra a casa in mano ha un giornale, c'era la notizia che un giovane ufficiale italiano con tre soldati italiani avevano disertato perché non volevano fare la guerra. Dovevano essere valdostani non ricordo bene. Quello è un momento di emozione, con Andrea, con Marc, i miei cugini, ci vogliamo bene, che bravi quelli là; e incontro così anche i disertori: obiettori di coscienza festeggiati come qualcosa che ci consente di non spararci tra di noi, questo e il primo incontro che ho con la realtà della diserzione dalla guerra. Allora, riassumendo: Adria, l'amore, quanto fosse legata vita pubblica e vita privata, gli ebrei, le leggi razziali; il maestro Righetti che si dimostra un antifascista, così capisco che l'avvocato Manna che abitava sotto casa nostra doveva essere antifascista pure lui; il divorzio, l'obiezione di coscienza, i disertori che sono belli.., credo che dopo tutto già tutta la mia vita sia concentrata qui. Scoppia la guerra. La Francia  entra in guerra, e a questo punto l'Italia non si sa che cosa fa. Certo a casa è un problema. Mamma ha anche la nazionalità francese, e già si comincia a dire che l'Italia rivendica Nizza, la Corsica, la Savoia. I timori ci sono. Comunque la guerra scoppia. Ricordo chiarissimamente sul corso Umberto di Pescara la mattina le radio a tutto volume. Credo di ricordare la voce di Mussolini che dice: "Stamani i nostri ambasciatori a Parigi e a Londra hanno consegnato la dichiarazione di Guerra". E attraverso la radio gli applausi frenetici,
questo lo ricordo. Tre anni e due mesi dopo, invece, ero a Teramo, nella casa delle zie dove eravamo sfollati, perché il 20 luglio c'era stato il bombardamento a Roma. Ricordo che mi stavo svegliando e sentivo la radio, e sentivo nella stanza accanto a quella da pranzo le tre zie zitelle, deliziose, e mamma, che stavano parlando. Loro non sentirono, io invece sì, che al giornale radio delle otto dicevano: "Il Gran Consiglio del fascismo ha dato la sfiducia a Mussolini e il generale Badoglio...". Caccio un urlo, e insomma ricordo così quella mattina, con la notizia della caduta di Mussolini. Sotto casa nostra, nel nostro terreno c'era un grosso recinto in muratura, con dentro automezzi dell'esercito, militari. Quella mattina andiamo a prendere  le uova dalle galline, per fare l'uovo sbattuto della mattina... si apre... e che cosa è successo?


Quel recinto era aperto, spalancato, non si sentiva nulla. Non c'erano le macchine parcheggiate, erano tutti andati via. Era l'8 settembre. L'ordine che era stato dato: ciascuno a  casa sua. Mio padre arriva, dimagrito di venti chili in tre mesi, era rimasto traumatizzato dalle notizie apprese sul fascismo, su Mussolini, la Petacci. Arriva, era un'altra persona, poi in divisa. Dice: "Vado incontro all'esercito alleato, con il re", e quindi sta dall'altra parte. Siamo al 12 o al  13settembre. Fatto sta che ci abbraccia, e sappiamo che il fronte si sta stabilizzando ma vediamo anche i tedeschi in ritirata per due o tre giorni di seguito, giorno e notte. Buoi sull'asfalto, coni loro contadini, tedeschi in ritirata avevano preso in tutte le campagne i buoi e i contadini per portarseli via come sussistenza.


Questo per due o tre giorni. Rientrati a Roma, andammo con un camioncino Fiat e avevamo un po' di roba che avevamo portato dallo sfollamento. In cabina c'era Narduccio, mamma e Liliana, mia sorella; io stavo sopra, con le corde. Per tornare a Roma, che era stata devastata, da Teramo, non c'era l'autostrada; dovemmo quindi raggiungere la Salaria, ci mettemmo diciannove ore, non fu molto facile. Arrivati a Roma, eravamo nel '44, lì comincia tutta la storia. Io rubavo tutte le mattine degli spiccioli a papà, per comperare due copie del Risorgimento Liberale, che all'inizio era un solo foglio, poi due. Ne portavo due a scuola, e ogni tanto riuscivo anche a rimediare un etto di cioccolatini. La scuola era di fronte a casa, e prima di andare leggevo il Risorgimento Liberale, ed ero felice che anche i compagni lo leggessero, se no quando mai... Ne comperavo così due copie, compatibilmente ai piccoli furti nei taschini, o i pochi soldi che mi si dava. Probabilmente alla base c'era questo: l'insegnamento alla scuola media che il Risorgimento si salvava perché era liberale; quindi c'era proprio questa nozione scolastica: il Risorgimento e l'unità d'Italia che si fa e sono liberali. Non c'erano altri punti di riferimento.


Poi c'era appunto il comunismo. Ma li c'erano  anche cose concrete, la Jugoslavia, dall'altra parte, la dittatura bolscevica.., quelle cose che vedevamo; io devo alla sorte quello di avere sentito appunto il Risorgimento liberale; che il problema  era quello di scegliere la libertà politica contro le illusioni delle scorciatoie: la scorciatoia  fascista, la scorciatoia comunista, l'allungatoia clericale, tutto quello che si era vissuto fino a quel momento senza la libertà politica. Arrivo con Gino Roghi, in via Frattina 89, sede del Partito Liberale,e ne esco quando ne esce il liberalismo, insomma. Negli anni di questa storia che cosa accade? Che un anno e mezzo dopo stabiliamo con pochi amici liberali all'università che bisogna fare qualche cosa per Trieste italiana, che significa anche Trieste liberale.
Allora mi viene in mente di andare a chiedere al presidente del partito, a Benedetto Croce, la sua benedizione. Tetti quanti: "Sei matto? Non te la darà mai". Io dico: ma no. Chiedo di essere ricevuto da Benedetto Croce, la rapidità con cui lui dice sì sorprende un po' tutti; prendo arrivo a Napoli, mi accoglie qui, nel suo studio; gli spiego la cosa, mi ascolta, scrutandomi molto, lui mi dice: "se devi fare questa Marcia...fatela, io poi interverrò. La cosa è bella, però è imprudente". Benedetto Croce aveva paura che ci si rimettessero  anche le esistenze, arrivando in Venezia Giulia, a Trieste. Va bene, a quel punto si comincia a parlare, le nostre famiglie legate da parentele, un po' lontane, ma unite da consuetudini e da parentele, e poi mi chiede che studi faccio, e come mai così giovane sono li... e insomma ci siamo parlati per due ore e mezzo buone...La Sinistra Liberale nel 1955 abbandona il Partito Liberale, nella convinzione, giusta o errata (io evidentemente credo giusta), che Giovanni Malagodi, entrato nel Pli presentato da Mario Pannunzio e Adriano Ruffini (cioè proprio dalla sinistra liberale), se ne era impossessato. La sinistra liberale si accorge che Malagodi fu ridotta al lumicino, in termini di manipolazioni, di tessere, di congresso, e a questo punto decide di uscire.
Io già nel 1952 avevo detto che Malagodi era un uomo di statura molto maggiore di quella che si credeva. "Cari amici della sinistra liberale”, dicevo, “fate torto a voi, o fate torto a lui, di ritenerlo semplicemente una persona priva di ideali, di volontà di scelta politica, vi sbagliate".
.
Anche sull'onda anche del grande successo dell'Unione goliardica italiana nell'università, non solo tra gli studenti, ma anche a livello di docenti, creai la Giovane sinistra liberale: era la prima organizzazione politica del dopoguerra con la doppia o la tripla tessera, questa cosa così radicale: era 1953. Si iscrissero alla Giovane sinistra liberale socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali, indipendenti, e costituimmo l'intelaiatura organizzativa, la ragnatela, perché era un filo, di quello che poi sarà il Partito Radicale: che in realtà, poi, non raggiungerà più di 1500 iscritti. Dinnanzi a tutta questa storia clericale che ci sommergeva, dico che si devono mettere in cantiere iniziative che siano intelligibili non solo a coloro che queste cose le sanno, ma anche alla storia. Dobbiamo riuscire, propongo, a fare un annodi manifestazioni culturali: per esempio c'è la Roma delle lapidi di tutti gli impiccati da Giordano Bruno in poi, dal Papa, dalla Controriforma, e dal papa re, di cui non si sa nulla. La gente ci passa e non sa. Riconsacriamo queste lapidi che ci sono a piazza del Popolo, a Campo de' Fiori.., noi eravamo ormai gli unici politici che continuavamo ad andare a piazza Campo de' Fiori nell’ anniversario della morte di Giordano Bruno, ci si riusciva ad andare da sempre: sembravamo dei cospiratori, un po' fantasiosi, devo dire, non avevamo l'aria troppo severa, avevamo le pezze al culo, e lo spinello in bocca, insomma. Nel 1968, mentre noi qui avevamo l'Anno Anticlericale, la battaglia sul divorzio, già cominciavamo a parlare dell'aborto e dell'obiezione di coscienza, già ne parlavamo e lottavamo: facevamo le marce anti-militariste; e c'è l'invasione della Cecoslovacchia, dopo l'Ungheria. E allora che facciamo... Ci vediamo con un pò di compagni e con la War Resister's, che è una vecchia associazione gandhiana, pacifista, con sede a Londra, un pugno di persone, diciamo: "Qui c'è da fare una grande cosa. Andiamo a farci arrestare a Mosca, nelle altre capitali dell'Est europeo, a denunciare nelle loro lingue che violano la loro stessa Costituzione, le loro stesse leggi". Ci mettiamo artigianalmente a redigere un testo in bulgaro, un altro testo in tedesco, e in polacco. in russo: poi ciclostiliamo a mano dei volantini ne facciamo migliaia di copie. Mi ricordo la notte prima di partire stavamo a fare i doppi fondi delle nostre valigie, con dei compagni, per non farci fregare dai poliziotti. Io avevo scelto la Bulgaria, perché in quel momento appariva il paese più prosovietico e arretrato. Quindi andai in Bulgaria con l'"Orient Express", pensate il treno mitico di Greta Garbo... L'"Orient Express", arrivato alla frontiera jugoslava e bulgara, si fermava ogni cento metri per far salire un pastore con le sue pecore; ed era l'Orient Express". Insomma: arriviamo in Bulgaria nel 1968, a Sofia c'era la mostra di Gagarco. Andiamo li, ci troviamo in mezzo alla propaganda di Gagarin, e cominciamo a distribuire volantini. "Voi siete tra coloro che oggi mandano i propri soldati in Cecoslovacchia, contro i fratelli e compagni cecoslovacchi, e fate ben peggio di quello che si dice che facciano gli americani, perché quello che fate è contro la Costituzione socialista". C'era scritta questa roba, nei volantini. Poi come si fa? Si andava nelle bettole, nei gabinetti, non c'era la carta igienica, c'era un pezzo di ferro con dei pezzi di giornale, e abbiamo cominciato a metterli li.



IN PRIMO PIANO







  stampa questa pagina invia questa pagina per mail