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Ue, i conflitti congelati e quelli dimenticati

• da L'Opinione del 30 dicembre 2004

di Olivier Dupuis

Recentemente, sul treno che ci riportava a Bruxelles di ritorno da Verviers - dove la comunità cecena del Belgio aveva organizzato una serata culturale alla quale ha preso parte un numero impressionante di artisti - abbiamo incontrato quattro giovani ceceni. Tra i 15 e 16 anni di età. Uno di loro (che chiameremo Ramzan) è arrivato da due mesi in Belgio. Solo. Inviato d’autorità da sua madre dopo essere stato arrestato, detenuto, picchiato. E, fortunatamente, riscattato in tempo.

 

Ormai, rimanere in Cecenia, significherebbe per lui poter essere arrestato in qualsiasi momento. Suo padre è “sparito”. Cioè, è stato rapito o arrestato (che vuole dire quasi la stessa cosa oggi in Cecenia) senza che sua famiglia riceva la benché minima informazione. Sua madre è rimasta lì con un figlio più giovane e la speranza di ritrovare suo marito. Ramzan ha 15 anni. Una faccia simpatica. L’aria sveglia. Ha incontrato altri ceceni e vive un po’ presso l’uno o presso l’altro. Due giorni fa è stato ammesso a scuola, dove ha cominciato ad imparare l’olandese.

 

Lui e i suoi amici vogliono studiare. Per tornare in Cecenia.Qualche giorno fa, sul Figaro, Ana Palacio e Pierre Lellouche hanno tratto dagli eventi d’Ucraina qualche insegnamento senza dubbio utile per l’Europa. Ci ricordano gli impegni presi da Mosca durante il famoso vertice d’Istanbul dell’Osce, nel 1999: ritiro delle basi russe dalla Moldavia e dalla Georgia. Fanno un lungo elenco dei “conflitti congelati” -contrari all’atto fondatore Nato-Russia del 27 maggio 1997 nel quale Mosca s'impegnava solennemente a rispettare “il diritto all'autodeterminazione dei popoli europei”.

 

“Conflitti congelati che hanno esportato insicurezza e instabilità nel nostro continente, fragilizzando allo stesso tempo i processi democratici nei Paesi in questione”. Transnistria, Abkhazia, Ossetia del Sud, Nagorno-Karabakh. Invano si cerca la Cecenia. E’ vero che il conflitto è tutt’altro che congelato. E’ soltanto cancellato: dalle nostre tv, dai nostri pensieri, dalle nostre preoccupazioni e quindi dalle nostre occupazioni.

 

E’ anche vero che la Cecenia si trova (ancora) all’interno delle frontiere dello stato russo. Sacrosanta integralità territoriale, un modo per mantenere lo status quo. Da non confondere con l’integrità territoriale che, come l’integrità fisica per un corpo, rinvia (o dovrebbe rinviare) a ciò che le frontiere circondano: donne, uomini, bambini, persone anziane, un territorio, delle tradizioni, delle ricchezze culturali e naturali… Un concetto, quest’ultimo, che non ha più senso da dieci anni in Cecenia (e quindi in Russia). Di quale integrità si potrebbe parlare quando 140.000 case e appartamenti sono stati distrutti (è l’amministrazione cecena filo-russa che lo dice), altri 60.000 sono stati gravemente danneggiati (su 300-350 mila)?

 

Quando la maggior parte degli abitanti sono o “déplacés” nel proprio Paese, o rifugiati all’estero? Quando 200.000 di loro sono morti (il 20% della popolazione iniziale)? Strana Europa che si scopre finalmente in Ucraina, in Turchia, che finirà (lo spero) per scoprirsi in Georgia e che si rifiuta di vedere ciò che un membro del Consiglio d’Europa realizza all’interno di frontiere che l’Europa si ostina a riconoscere come russe. Ciò è più che discutibile, da un punto di vista giuridico, come ricorda Tony Wood nel bellissimo articolo “The case for Chechnya” pubblicato nell’ultimo numero della New Left Review.

 

Per Wood “La secessione della Cecenia era conforme alla legge sovietica e il risultato ottenuto da Dudaev in occasione della sua vittoria elettorale dimostra l’ampiezza del sostegno popolare a favore della sovranità. Inoltre, al di là di qualsiasi dubbio che le autorità russe hanno emesso in seguito quanto alla legittimità dell’indipendenza, hanno accettato in differenti occasioni l’indipendenza cecena “de jure”.

 

Il 14 marzo 1992, dopo negoziati su una serie di questioni legali, economiche e di sicurezza, i rappresentanti russi e ceceni hanno firmato dei protocolli che facevano riferimento esplicito all’“indipendenza politica e allo Stato sovrano della Repubblica cecena”, una formula che fu ripresa in altri documenti firmati il 28 maggio e il 25 settembre dello stesso anno”. E sarebbe l’Europa ad aver, secondo Vladimir Putin, rimesso il “casco coloniale”. In realtà è la Russia che si ostina a coprirsene il capo.

 

La Cecenia è un pezzo di Caucaso del nord che le forze armate zariste hanno conquistato “definitivamente” solo nel secolo XIX. Esattamente all’epoca in cui la Francia annetteva l’Algeria (conquista “definitiva” nel 1847). La conquista russa fu estremamente brutale, fatta di deportazioni (di già), decimazioni (di già), massacri (di già), della politica della terra bruciata (di già), di torture (di già), di umiliazioni (di già). Unica novità, oggi sappiamo (se vogliamo sapere).

 



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