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USA: demoni o giganti?
Visti da lontano

• da Viewpoints del 4 gennaio 2005

di Stefano Vaccara

Il disastro del maremoto nell’Oceano Indiano presenta almeno una rara opportunitá per scuotere la politica estera degli Stati Uniti verso quell’obiettivo dichiarato e finora mal perseguito: l’espansione della democrazia nel mondo. Tranne la lunga parentesi condizionata dalla "realpolitik" della Guerra Fredda, gli Usa hanno sempre voluto l’emergere di nuove democrazie nel mondo. Ma dopo l’attacco dell’11 settembre, questo obiettivo non é considerato piú solo auspicabile, ma necessario alla stessa sopravvivenza americana. Il restare in attesa del semplice divenire storico che avrebbe prima o poi portato all’affermarsi della democrazia anche tra popoli che non l’hanno mai sperimentata, sono considerati da questa amministrazione una politica estera appartenente all’era Before 9-11. Per questo nell’anno quarto A. 9-11, la piú potente democrazia del mondo si dichiara piú che mai "interventista". L’espandersi delle libertá democratiche assicurano progresso e stabilitá ma soprattutto devono togliere acqua ai pesci del fondamentalismo terrorista, oggi islamico, domani chissá.

Ma finora il perseguimento di questo obiettivo ha prodotto un’invasione militare dell’Iraq e una occupazione condotta in modo antitetico ai valori che si affermava di voler esportare. L’America che 60 anni prima era riuscita a farsi percepire in Europa (o almeno in gran parte di essa) come forza esportatrice di libertá e benessere, capace di abbattere il nazi-fascismo e di contenere il totalitarismo sovietico, nel cancellare il regime di Saddam Hussein ha saputo mostrare solo la forza militare, umiliando quei valori per i quali affermava di combattere.

Ma ora, proprio nel piú popoloso paese islamico del mondo, l’Indonesia, gli elicotteri della marina con la stella rossa e blu, atterrano dove nessun altro riusciva, e questa volta non per scaricare bombe ma viveri e medicinali. La zona piú disastrata, nel nord dell’Isola di Sumatra, dove da sabato sono arrivati i primi americani, é proprio quella dove risiedono le popolazioni islamiche considerate piú "allergiche" alla democrazia, che professano l’Islam whaabita, vivaio di Al Qaeda e che infatti ha colpito giá a Bali e Jakarta.

Riusciamo a immaginare cosa puo' accadere nella mente dei bambini indonesiani - che finora conoscevano solo "il grande Satana Usa" studiato in certe scuole islamiche - quando dagli elicotteri con la stella non scendono temuti demoni ma giganti che gli salveranno la vita?

Non é stato velocissimo il presidente Bush a intuire l’opportunitá, almeno cosí ci é sembrato. Deve averlo aiutato Colin Powell, da ieri in missione in Asia, che lascia cosí un’ultima grande impronta da Segretario di Stato. E Bush ha capito. D’altronde aveva pronunciato questa nuova politica estera ormai nell’ottobre del 2003, in quel discorso di Londra che allora ci augurammo fosse il sorpassamento di quello "dell’intervento preventivo" di West Point. "The third pillar of security is our committment to the global expansion of democracy, and the hope and progress it brings, as the alternative to instability and hatred and terror (…) Freedom, by definition, mast be chosen and defended by those who choose it. Our part as free nations is to ally ourselves with reforms wherever it occurs. Perhaps the most helpful change we can make is to change our own thinking".

Cambiare il modo di pensare. Ma c’é sempre chi non vuole cambiare il vecchio mondo, anche tra le nazioni democratiche, soprattutto in ambito Onu. Riguardo agli aiuti in Asia, non scoppia a caso la polemica sul perché la Casa Bianca ha dato vita, insieme ad Australia, India e Giappone, ad un gruppo di intervento che sembra scavalcare l’Onu. In realtá Washington mette in pratica, senza aspettare i lentissimi processi di riforma, quel "Caucus of Democracies for the UN", la comunitá delle democrazie all’interno dell’Onu. Sull’"International Herald Tribune", ci é apparsa tempestiva l’analisi a firma di Adrian Karatnycky (Freedom House) e Matteo Mecacci (Partito Radicale Transnazionale), che sottolinea i progressi raggiunti da questo movimento per la comunitá delle democrazie nell’Onu, con l’ex ministro degli esteri cileno, Maria Soledad Alvaer, determinante nell’organizzare il gruppo con Colin Powell e altri ministri degli Esteri (Frattini era molto sensibile. Fini lo sará altrettanto?).

A che serve una comunitá delle democrazie dentro l’Onu? Basti pensare al regime militare della Birmania, che nel prevenire ogni contatto con l’esterno, sta ostacolando gli interventi di aiuti alle sue popolazioni, per capirne la necessitá. Gianni Riotta sul "Corriere", scrive: "...che nessuno ricordi le parole di sdegno pronunciate per la signora premio Nobel per la pace in Birmania Aung Suu Kyi, che la Libia possa presiedere senza proteste la Commissione diritti umani delle Nazioni Unite vi spiega perché il 2004 è stato un anno cattivo. Le democrazie sono divise dalla discussione perenne tra Realpolitik e politica dei valori (...) I paladini dei diritti, che hanno come santi patroni i presidenti americani Wilson e F.D. Roosevelt, sono certi che solo guardando alla giustizia il mondo possa davvero trovare pace e serenità. Chi avrà ragione nel 2005?"

Chi avrá ragione? Dipenderá ancora una volta dalle mosse degli Usa che nel 2005 restano, cosí come speriamo ancora per molto, la potenza indispensabile.



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