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Infibulazione, dossier anti-tabù

• da La Stampa del 9 gennaio 2005, pag. 26

di Giovanna Zucconi

Oggi il maggiore quotidiano di lingua araba, l'egiziano Al Ahram, allega un dossier di trenta pagine sulle mutilazioni genitali femminili. E' la clamorosa rottura di un tabù, la demolizione a

mezzo stampa dell'alibi religioso per una pratica che in Egitto è gia reato, e che scempia 130 milioni di donne nel mondo, due milioni in più ogni anno. E pazienza se a certificare la svolta è chiamata ancora l'autorevolezza maschile: è infatti uno studioso islamico, e non una femmina amputata con un coccio di vetro, ad argomentare dottamente che infibulazione e clitoridectomia non trovano alcun fondamento nella dottrina coranica.

Quasi tutti i giornali italiani hanno invece trattato come un qualunque fatto di cronaca (semmai con un alone di disprezzo etnico, visto che i protagonisti erano albanesi contro calabresi) la rissa omicida nel varesotto fra due bande di uomini e ragazzi, inferociti perché una cameriera di Gallarate aveva lasciato un maschio di una tribù per un maschio dell'altra tribù. Eppure le due notizie sono la stessa notizia: al cuore c'è ugualmente la questione, arcaica e oggi globalmente decisiva, del possesso maschile sul corpo femminile.

Bambine africane alle quali il piacere e tagliato via, ragazze padane che con la più banale delle scelte sentimentali scatenano un duello a sprangate e sbudellamenti: tu sei mia...

Il pulpito dal quale noi occidentali e noi italiani giudichiamo, esecriamo e plaudiamo, è davvero un traballante sgabelletto.

Per celebrare la svolta egiziana (non diciamo «epocale» perché non se ne può più), sarebbe importante non trascurare le questioni, certo meno cruente ma non meno cruciali, che segnano la condizione delle donne anche laddove i costumi e le leggi sono piu evoluti, ma la partita tra autodeterminazione femminili e paure maschili è tuttaltro che chiusa.

Lo «scontro di civiltà» esiste eccome, ma passa all'interno delle società e delle persone. E' trasversale, come si dice con un termine meritatamente fortunato. Un'altra notizia può aiutarci a depurare il nostro sguardo sul resto del mondo da ogni residuo complesso di superiorità. Nella classifica del World Economic Forum sulla parità fra uomini e donne, l'Italia (una delle potenze economiche del pianeta) è solo al quarantesimo posto, cioè molto più vicina appunto all'Egitto (cinquantaduesimo) che agli inarrivabili vertici scandinavi.

Se la libertà e l'autonomia delle donne è un buon parametro per capire quanto il pregiudizio arcaico persista, e quanto la modernità liberale avanzi, noi non siamo precisamente all'avanguardia, e lo dicono i numeri (per esempio la modestissima percentuale di donne italiane in politica), non altro. Ovviamente, tra l'essere alle prese con una tragedia di massa come l'infibulazione oppure con la strisciante revanche maschilista-moralista di casa nostra, ce ne corre. Ma questa arretratezza (anzi, questo arretramento), paradossale in una società secolarizzata come la nostra, può aiutarci a guardare con minore sicumera, e qualche dubbio in più, alle faccende altrui. E a considerarle anche nostre.

Un'italiana, Emma Bonino, è da anni impegnata nelle due battaglie, che sono poi la stessa battaglia: qui contro l'esigua partecipazione delle donne in politica, lì contro le mutilazioni genitali, a partire dalla conferenza del Cairo nel giugno 2003. In campo c'è la solita micidiale matassa dei diritti e dei principi contrapposti (il rispetto per le altrui tradizioni contro il rispetto per l'integrità del corpo). Ma c'è anche l'ancestrale paura per il piacere femminile, che nei secoli dei secoli è stata rimossa con un taglio netto per nulla metaforico: se ne accenna nel Pentateuco, sono state trovate mummie egiziane infibulate, e nella Roma imperiale la cosiddetta circoncisione femminile era uno strumento di controllo della sessualità delle schiave. Ieri come oggi, c'è chi svicola dalla cruenza ma non dalla sostanza, nel Ghana con cerimonie tradizionali in cui la mutilazione viene simboleggiata ma non eseguita, qui in Italia (che è il paese europeo con il più alto numero di donne infibulate, fra le venti e le trentamila) con la proposta di ritualizzare negli ospedali una puntura di spillo sul clitoride delle bambine di immigrati. Intanto, nel luglio 2003 nella capitale del Mozambico i capi di stato e di governo africani hanno già fatto (forse senza rendersene conto) la rivoluzione: hanno approvato all'unanimità una avanzatissima carta sui diritti delle donne che, fra l'altro, proibisce l'infibulazione. Per diventare legge continentale, il protocollo di Maputo deve essere accolto da quindici paesi.

Lo hanno già fatto in sei, altri lo hanno annunciato, il contagio sta attraversando il continente, dal Kenya al Ghana, dalla Tanzania al Burkina Faso, da Gibuti al Mali che ospiteranno incontri e conferenze internazionali fra febbraio e maggio. Paesi dove le mutilazioni genitali femminili sono praticate da millenni, ma parlarne finora era un tabù. Paesi dove «non infibulata» è ancora un insulto mortale (presso i Bambara del Mali c'è una parola apposta, «bikaloro»), e paesi come il Sudan dove una stessa donna viene infibulata più volte, dall'infanzia alla vecchiaia, ad ogni parto, ogni volta che c'è da ricucire una «verginità», una reputazione. Paesi per i quali si spera nell'effetto domino, ora che l'Egitto ha smantellato pubblicamente le fasulle giustificazioni religiose.

 



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