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Il sì dei cattolici non è disobbedienza
RADICALI 2. LA CAMPAGNA REFERENDARIA E I CREDENTI

La Chiesa ricordi il sensum fidelium

Le gerarchie hanno sempre considerato invalida una dottrina non recepita dai fedeli

• da Il Riformista del 18 gennaio 2005, pag. 4

di Federico Punzi, redattore del sito di Radio Radicale

Nei giorni scorsi, dalle colonne del Corriere della Sera, Piero Ostellino invitava a non «alzare nuovi e anacronistici "steccati" fra cattolici e laici» in occasione della campagna referendaria sulla fecondazione assistita. Il segretario dei Ds Piero Fassino manifestava il timore di uno scontro «stile anni '70», e riteneva possibile anche per un cattolico votare sì. Tutti a parole vogliono evitare uno scontro fra laici e cattolici, divisione di cui si nega l'esistenza perché "questi" sono temi trasversali. Siamo sicuri che esista un "campo cattolico"? Cosa si intende con l'espressione il "mondo cattolico"? Non conviene forse ai referendari - è questa la strategia a cui mi riferisco - concentrare le loro attenzioni proprio sui credenti? Apprendiamo dal Corriere che uno dei giudici della Consulta, Franco Bile, relatore sul quesito bocciato, quello proposto dai Radicali, «pur essendo un cattolico osservante e dunque presumibilmente favorevole alle nuove norme, si è battuto sino alla fine affinché fosse ammesso il referendum e probabilmente non scriverà la motivazione, in modo da rendere pubblico il suo dissenso». Ci dimentichiamo troppo spesso con quali percentuali, decenni fa, i cittadini si espressero nei referendum su divorzio e aborto (60% a favore del divorzio, al nord oltre il 70; 68% a favore dell'aborto). Il nostro Paese è indubbiamente a maggioranza cattolica, ma dov'era allora quella maggioranza? Fu la sconfitta della linea Fanfani-Almirante.

 

Quando si parla di laicità e religione, di Stato e Chiesa, anche al riguardo dei temi etici, il problema è che sottovalutiamo, per usare un'espressione di Ostellino, «quanto cristianesimo e liberalismo si incontrino qui felicemente. "I metafisici religiosi che hanno asserito l'esistenza del libero arbitrio - ha scritto John Stuart Mill ("La logica delle scienze morali", in Economia e Scienze sociali) - hanno sempre sostenuto che esso è compatibile con la prescienza, da parte di Dio, delle nostre azioni: e se è compatibile con la prescienza divina, allora sarà compatibile con qualsiasi altra prescienza"». Il libero arbitrio dunque, ma anche il problema di un popolo di Dio le cui credenze religiose sono troppo spesso identificate sic et simpliciter con i precetti dettati dalle gerarchie ecclesiastiche. Il credente, "intimidito" da tale stretta identificazione, è portato all'autocensura e a vivere come "eretici" i propri dubbi e i propri sentimenti, quando si trovasse a pensare e ad agire diversamente dalle indicazioni del clero.

 

"La Chiesa dice che...", è un'espressione comune. Ma qual è il soggetto in questa frase? E' la domanda che si è posto Padre Jacques Pohier intervenendo al recente convegno organizzato a Bruxelles da Marco Pannella su "Laicità e Religioni in Europa". Domenicano francese, già Decano di teologia morale alla Facoltà Pontificia di Saulchoir, ex presidente dell'Associazione per il diritto a morire nella dignità, e autore del libro "La morte opportuna", dal '79 gli fu impedito di presiedere assemblee liturgiche e di insegnare pubblicamente. Cosa si intende per "la Chiesa"? Il Vaticano e le gerarchie? La comunità dei credenti? O un'unione delle due entità? Padre Pohier ha spiegato che tra i «luoghi teologici, i luoghi dove la teologia individuava le sue fonti (le Sacre Scritture, i Concilii, Santi e Dottori della Chiesa), vi era anche un elemento molto importante, il Sensus Fidelium (il sentimento dei fedeli). L'esperienza che i fedeli fanno della propria fede era uno dei luoghi teologici, dello stesso valore di tutti gli altri». Oggi è ignorata. Un magistero che non prenda in considerazione il Sensus Fidelium è in realtà «inammissibile» proprio dal punto di vista teologico. Fu Padre Yves Congar a trattare il concetto della receptio. «Dimostrò, perché studiò la storia della teologia, che durante secoli e secoli la Chiesa ha considerato che una dottrina promulgata dalle gerarchie veniva invalidata se non oggetto di una receptio da parte dei fedeli». Una condizione sine qua non, dunque, perché gli insegnamenti proposti dalle gerarchie fossero validi, era che fossero recepiti, accettati e rispettati dalla comunità dei credenti.

Se, come stabilì il Concilio Vaticano II, "la Chiesa" è costituita dal popolo dei credenti, e le gerarchie ne fanno parte, innanzitutto è importante sottolineare la distinzione tra la gerarchia ecclesiastica (o il Vaticano) e l'espressione "la Chiesa". Poi occorre guardare con altra luce a come la fede viene vissuta dai credenti. Per quanto riguarda ad esempio la famosa enciclica Humanae Vitae sulla contraccezione, la non receptio da parte della comunità dei credenti sembra evidente. Come per il divorzio, l'aborto, e come forse sarà per la fecondazione assistita e la libertà di ricerca scientifica. Lasciando da parte i singoli casi di non receptio, ciò di cui dobbiamo tornare a convincerci è che se la teologia stessa tiene in così grande considerazione il "sentimento dei fedeli", allora non v'è alcun motivo perché il credente abiuri la propria fede per "vivere" scelte diverse rispetto a quelle indicate dal Vaticano. Può farlo, e sostenere le sue posizioni dall'interno della Chiesa, senza sentirsi pregiudizialmente "in errore". E' ora che in Europa il mondo cattolico possa esprimersi nella sua complessità, che il Sensus Fidelium venga riscoperto, che il singolo credente sia consapevole della piena legittimità che il Cristianesimo gli attribuisce di ricevere con approccio "critico" le dottrine impartite dalle gerarchie ecclesiastiche, anche per quanto riguarda il proprio impegno politico, o quando si tratti di controversi temi etici. Al recupero di queste nozioni, al risveglio di questa piena autonomia di giudizio del credente, deve lavorare tutto il mondo laico - non laicista - ponendosi come primo concreto obiettivo una campagna referendaria nella quale i credenti possano vivere le proprie scelte non in contraddizione con il proprio sentimento religioso soggettivo.



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