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La diplomazia di velluto; svolta dei falchi di George
La politica di predicazione dei diritti politici ha piegato l'Urss; Ora la nuova parola d'ordine è «comunità» dei paesi liberi

• da La Stampa del 20 gennaio 2005, pag. 3

di Maurizio Molinari

Com'è nata la dottrina annunciata al Senato da Condoleezza Rice.

SONO le 20.45 in punto quando Condoleezza Rice reduce da una giornata di battaglia a Capitol Hill varca la soglia del suo ristorante preferito sulle rive del Potomac. A quest'ora gli americani hanno già cenato, solo tre tavoli sono ancora occupati, chi c'è si alza e la saluta, ricordando l'intervento di fronte al Congresso. Lei ringrazia: "Ho parlato dei nostri comuni valori". Ha un sorriso per tutti. Gli uomini della sicurezza ne conoscono il carattere, e lasciano fare. Poi si va a sedere nel suo tavolo, nell'angolo, più protetto, con la vetrata che dà sulle luci della Virginia. Saluta il cameriere ispanico, ordina pesce e verdure, termina con un tè molto leggero ed a parte l'incontro inatteso con un uomo d'affari di Bel Air, amico californiano del presidente e appassionato di baseball ed Air Force come lei, dedica l'intera cena - circa 45 minuti – a discutere con uno stretto collaboratore quasi un unico tema, la "comunità delle democrazie".

I DITTATORI
È questo il tema che la Rice ha presentato alla commissione Esteri del Senato come il primo dei tre "grandi compiti" del Dipartimento di Stato durante il secondo mandato di George W. Bush gettando i semi di una dottrina politica a cui il presidente accennò per la prima volta nel discorso pronunciato il 6 novembre 2003 di fronte alla "National Endowment for Democracy" di Washington, quando descrisse così il proprio orizzonte politico: "Una rivoluzione democratica globale" contro i dittatori per sugellare "l'era della libertà". In quell'intervento Bush guardò oltre la guerra al terrorismo, gettando le basi della seconda fase del conflitto - quella politica - definendola come "la sfida ad ogni dittatore"

IL LIBRO DI PALMER
Coincidenza vuole che Bush allora elencò fra i "dittatori" gli stessi Paesi che la Rice deponendo a Capitol Hill ha chiamato "avamposti della tirannia": Iran, Corea del Nord, Cuba, Birmania, Zinbabwe e Bielorussia. I nomi di queste nazioni figurano a loro volta nell'elenco dei "dittatori rimasti da abbattere" contenuto nel libro "Breaking the Real Axis of Evil, How to Oust the World's Last Dictators by 2025" (Spezzare il vero Asse del Male, come cacciare gli ultimi dittatori entro il 2005) pubblicato nell'autunno del 2003 da Mark Palmer, ambasciatore nell'est europeo durante la Guerra Fredda nonché stretto collaboratore di Ronald Reagan. Palmer in quel libro sosteneva che il metodo per sconfiggere gli ultimi regimi tirannici - 43 - doveva essere "non violento. Dopo aver dedicato il primo mandato a reagire agli attacchi terroristi dell'11 settembre 2001 usando la forza per rovesciare i talebani afghani ed il raiss iracheno Saddam Hussein, Bush si è riferito per la prima volta a metodi non violenti incontrando i giornalisti nello Studio Ovale il 7 gennaio, dicendosi a favore dell'"avanzamento delle libertà attraverso le urne dei seggi o la pubblica piazza". Per "urne" intendeva le elezioni che si sono svolte in Afghanistan, nei territori palestinesi e che si terranno in Iraq mentre il riferimento alla "pubblica piazza" era alle rivoluzioni di velluto che hanno portato a cambiamenti di regime prima nell'Europa dell'Est, poi in Serbia, quindi in Georgia e da ultimo in Ucraina.

LA RICETTA SHARANSKYÈ stato lo stesso Bush ad affermare, in più occasioni, che la sua fede nel "potere delle libertà di trasformare le cose ha trovato nuove motivazioni nel libro "The Case for Democracy", nel quale l'ex dissidente sovietico Natan Sharansky racconta come furono i discorsi di Reagan contro l'"Impero del Male" a dare fiducia a quei riformatori ed oppositori rinchiusi nei gulag che poi nel 1989 avrebbero contribuito a far implodere il Patto di Varsavia. Sharansky afferma che il modello vincente è quello della Conferenza di Helsinki del 1975 nella quale l'Occidente scelse di assediare il blocco sovietico su due fronti: sicurezza e diritti umani. "È stata l'intesa fra i falchi in politica estera e i difensori dei diritti umani la ricetta che ha piegato l'Urss" ha scritto l'ex dissidente oggi ministro israeliano, proponendo a Bush di ricreare la stesso tipo di coalizione per far implodere Iran e Corea del Nord.

L'IMPRONTA CLINTON
Una delle roccaforti della promozione della democrazia è il centro studi neoconservatore "Freedom House", il cui capo dell'ufficio di New York Adrian Karatnycky esita tuttavia ad affidare a Bush il copyright della dottrina. "Alle spalle di quanto detto dalla Rice al Senato ci sono quasi trent'anni di politica estera americana - spiega Karatnycky - perchè fu Jimmy Carter a mettere in cima all'agenda i diritti umani, fu Reagan nel discorso di Westminster del 1986 a chiedere uno "sforzo internazionale per estendere le libertà" e, dopo la parentesi di Bush padre che a queste cose non prestava troppa attenzione, è stato Bill Clinton a parlare di espansione globale della democrazia ". Non a caso fu Madeleine Albright, Segretario di Stato di Clinton, a promuovere nel giugno del 2000 a Varsavia la prima riunione del Forum per la "Comunità delle democrazie" dal quale uscì una dichiarazione nella quale per la prima volata i Paesi firmatari (fra cui c'erano Polonia, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Messico, Cile, Mali, Sudafrica e India) concordarono una comune definizione di democrazia. E da quel primo summit che si è originato il "Caucus democratico" alle Nazioni Unite, una sede di raccordo ancora informale fra tutti i Paesi liberi che siedono al Palazzo di Vetro.

INCONTRO A SANTIAGO
"Quando le democrazie si muovo assieme gli effetti ci sono – dice Matteo Mecacci, rappresentante all'Onu del partito radicale transnazionale che nel Congresso del 2002 si è dato l'obiettivo di dar vita ad un'organizzazione mondiale delle democrazie - e lo si è visto nel caso dell'Ucraina quando le pressioni congiunte di Europa e Stati Uniti hanno portato a risolvere la grave crisi che si era venuta a creare". Ciò che manca ancora al "caucus democratico" è la sua formalizzazione, l'accordo fra il centinaio di Stati membri di dar vita ad una forma di stretto coordinamento simile a quella che vige fra i Paesi non allineati.


Decisivo a tale riguardo può rivelarsi il prossimo summit del Forum, in programma a Santiago del Cile a fine aprile. Il Congresso ha già fatto sapere come la pensa in proposito approvando alla fine del 2004 la sezione 1771 all’interno della legge di riforme dell’intelligence nel quale si chiede al presidente di "stabilire un caucus delle democrazie in tutte le maggiori organizzazioni internazionali". "La Comunità delle democrazie può davvero nascere se saranno gli Stati nazionali a deciderlo -- conclude Karatnycky - il passo compiuto dalla Rice è di buon auspicio anche perché questo argomento può diventare il nuovo terreno di incontro fra Europa e Stati Uniti per lasciarsi alle spalle le divisioni causate dalla guerra in Iraq". Fra l'altro questo è un sentiero sul quale l'amministrazione Bush può trovare il consenso dell'opposizione democratica, come dimostra il fatto che è forse l'unico tema sul quale i neoconservatori concordano con il loro più acerrimo nemico, il miliardario liberal George Soros.



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