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Divisi tra morale e libertà
Polemiche d'autore fecondazione: le idee di un intellettuale cattolico e del leader radicale

• da Panorama del 21 gennaio 2005, pag. 61

Il Paese non si è spaccato: tutti sembrano essere favorevoli al voto. E i credenti decideranno, come sempre, secondo coscienza.



di Daniele Capezzone



Dunque è già partita la leggenda metropolitana del «Paese spaccato» o della «divisione tra laici e cattolici».

Verrebbe da dare ragione a Totò: se la spaccatura c'è, non avviene certo tra gli «uomini», ma (ai massimo) tra i «caporali», cioè i capipartito che sono terrorizzati dalle scadenze referendarie, dove il cittadino decide da sé, senza sottostare a indicazioni partitiche. Per il resto, su questi temi, il Paese è sempre stato unito e i cattolici hanno sempre votato dalla parte della libertà, proprio perché hanno saputo distinguere tra le proprie convinzioni e la necessaria laicità delle leggi dello Stato.

In altre parole (e valso per il divorzio e per l'aborto), un conto è dire «Io non lo farei», altra cosa è passare al «Tu non lo devi fare». E i sondaggi sono univoci: sono state registrate larghissime maggioranze di favorevoli ai nostri referendum, sia tra gli elettori del Polo sia tra quelli dell'Ulivo, sia tra gli elettori credenti sia tra i laici, sia tra gli abitanti del Nord sia tra quelli del Centro o del Sud.

I referendum vorrebbero solo introdurre elementi di ragionevolezza già presenti in tutte le legislazioni più avanzate. Questa legge blocca la ricerca sulle cellule staminali embrionali, che potrebbe rivelarsi decisiva per la cura di malattie terribili. E ancora: se è vero (ed è vero!) che esistono 30 mila embrioni che saranno buttati via, non sarebbe meglio destinarli a una ricerca che potrebbe salvare milioni di vite? E ancora, sulla fecondazione: perché ripetere quel che accadeva quando l'aborto era vietato? Come allora, infatti, chi potrà permetterselo se ne andrà all'estero.

L'assurdità delle nonne varate facilita quelle gravidanze plurigemellari che sono a maggiore rischio handicap: e (quel che è peggio) ci si risponde che «tanto si può abortire». Come se fosse divertente, per una donna, sapere che potrebbe generare un figlio handicappato e poi decidere se interrompere o no la gravidanza. È di questo che vorremmo discutere. Non sarà una battaglia di destra o di sinistra, ma una lotta per conquistare una libertà in più e un divieto in meno. Possono essere mesi molto belli di dibattito, di crescita del paese, com'è sempre accaduto con le grandi conquiste civili. Buon voto a tutti, allora!





La legge in vigore non è pienamente accettabile per la Chiesa, ma è il male minore. Al referendum dovremo scegliere tra il no e l'astensione.



di Cesare Cavalleri



La legge 40/2004 sulla procreazione assistita non corrisponde in pieno ai criteri della morale naturale che la Chiesa autorevolmente interpreta non solo per i cattolici ma per tutti gli esseri razionali appartenenti alla specie umana.

Mi scuso per il tono dell'esordio, ma è ora di smettere di impostare la discussione su questo tema in termini di scontro tra cattolici e «laici»: qui non c'entra la religione, c'entra la razionalità della legge morale. Se non si accetta il riferimento a una moralità oggettiva come regola del comportamento umano, e quindi se ci si appella al soggettivismo etico («Per me e giusto così»), il sistema democratico diventa strumento per l'affermazione della legge del più forte. Detto questo, la legge 40/2004 non corrisponde alla morale oggettiva soprattutto perché non tutela i diritti degli embrioni, «sacrificati» per ottenere la fecondazione, e perché il concepimento non e affidato a un atto d'amore che significhi l'unione di due persone (corpi e anime) che intendono farsi amorevolmente carico del nascituro, bensì al freddo di una provetta: la scienza (meglio, la tecnica) si sostituisce all'amore.

Ma, tenendo conto del degrado dei costumi che la rappresentanza parlamentare rispecchia, allo stato attuale non si poteva ottenere una legge migliore: se non altro, la legge 40/2004 esclude la fecondazione eterologa, riconoscendo che la procreazione deve avvenire in un contesto familiare. Modificare in Parlamento la legge equivarrebbe a peggiorarla, dato che le modifiche, per evitare i referendum, dovrebbero venire incontro alle richieste dei proponenti. È una via che va esclusa. Se si va al referendum, si può puntare sull'astensione per non far raggiungere il quorum e quindi lasciare intatta la legge attuale. Oppure votare No, per difendere una legge di per sé indifendibile, ma comunque migliore del suo contrario.

Certo, incoraggiare l'astensione può essere diseducativo, e andrebbe spiegato bene: qui si tratta di non assecondare gli uzzi di alcuni scriteriati che vogliono ulteriormente corrompere la società italiana. Se si va a votare c'è il pericolo di una vittoria del Sì. Si tratta di scelte affidate alla saggezza dei partiti e alla sensibilità dei mass media che orientano l'opinione pubblica.



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