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Marco Pannella: «Lui sì che era davvero un radicale»

• da Il Giornale del 21 gennaio 2005, pag. 28

di Paolo Bracalini

«Quando ruppe con il Pci per venire con noi nel 1979, suoi amici lo attaccarono con ferocia. In aula era un oratore straordinario»  

 

«Ho detto quello che ho detto». Non è un loquace, i suoi (rari) interventi in aula non durano mai più di dieci minuti. Siede a Montecitorio come un alieno, estranee ai giochi e ai compromessi, alla democrazia  ridotta a partitocrazia: «Bisogna ormai  salvarsi dai partiti, salvarsi dai politici, inventare una politica sottratta ai politici. La partitocrazia ha terribilmente deteriorato  l'istituzione democratica, non c'è dubbio», dice in un'intervista oggi raccolta insieme a tutti gli interventi da parlamentare in Leonardo Sciascia deputato  radicale, 1979-1983 (Kaos).

 

Lo scrittore di Racalmuto fu eletto nelle liste del partito radicale come indipendente del 1979. Era stato prima consigliere comunale del Pci a Palermo, come indipendente, si era poi dimesso  dopo neanche  sette mesi per dissensi insanabili con la dirigenza comunista. Tre anni  dopo accetta l'offerta di Marco Pannella, diventa deputato  radicale, fino al congedo dalla politica del 1983.

 

Pannella, che ricordo ha dell'onorevole Leonardo Sciascia?

«Lo ricordo come uno straordinario oratore, anche se quando glielo dicevo si  stupiva. Proprio quel suo modo quasi esitante  nel pronunciare le parole, creava un pathos e un ascolto straordinario in aula. Usava poche frasi essenziali, interventi  brevi, ma sempre erano occasione di intelligenza per chi lo ascoltava. Da parte sua, e io lo scoprii dopo la sua morte, di me diceva che ero l'unico politico  italiano con la passione della giustizia e la capacità di governarla».

 

Perché ruppe con il Pci?

«Ruppe perché non condivideva la politica del Pci, il sistema, tutto. Fu una rottura  globale. Poi è vero che era stato consigliere del Pci, ma nelle liste della sinistra indipendente».

 

Quale fu la reazione dei comunisti?

«In un primo momento cercarono di convincerlo a tornare, considerando la sua uscita come una parentesi. Poi, quando fu eletto tra i radicali, subentrò il rancore, per non dire di peggio. Anche da parte  dei suoi amici. Trombadori, anche Guttuso, ebbero per lui frasi feroci. Perché  in effetti, allora come oggi, per un comunista  non c'è niente di peggio di un radicale».

 

Come lo conobbe?

 «Un giorno lo chiamai, quando ormai si stavano chiudendo le liste elettorali. Precedentemente  erano già stati da lui Craxi, Martelli, di nuovo Trombadori e gli  altri comunisti, per convincerlo a candidarsi. Poi arrivai io. Ci volle un'ora e mezza. Ricordo che accese una sigaretta, che  fumava sempre con il bocchino in una posa tutta sua, e mi chiese il tempo di fumarla per darmi la risposta. Uscì dallo studio, lo intravedevo dalla porta a vetri. Finì la sigaretta, rientrò, e mi disse: “Hai bussato alla porta giusta, perché sapevi che era già aperta”».

 

Non fu difficile.

«Perché lui era davvero un radicale. Prima  non avevamo mai avuto l'occasione di proporgli consigli comunali o provinciali. Ma nelle prese di posizione lo era sempre stato. Il suo caso ricorda quello di Pier Paolo Pasolini, che mentre si dichiarava  un "intellettuale che vota Pci" di fatto faceva il quasi militante radicale già da anni. Ma noi non ci presentavamo alle elezioni e di questo infatti si rammaricava. Per Sciascia valse in un certo senso  la stessa cosa all'inizio».

 

Cosa detestava il politico Sciascia della politica Italiana?

«L'ingiustizia, l'intolleranza, la partitocrazia. Ma tutte le sue battaglie erano ispirate a un assoluto senso di laicità. Tanto che quando ci chiedevamo quale simbolo adottare per il partito radicale, mentre io proponevo il mahatma Gandhi, lui mi proponeva l'illuminista francese  D'Alebert».

 

Sciascia scrittore assomigliava a Sciascia  politico?

«Non credo si possa separare lo Sciascia scrittore dallo Sciascia parlamentare radicale. Al contrario lui fu l'esempio dell' integrità, dell'interezza, senza doppie identità o specialità. Avevano un valore politico estremo le sue ricerche, e le sue analisi e i suoi romanzi. Se c'è stato un grande poeta e scrittore civile, quello è Leonardo».



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