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Occasioni importanti e occasioni perdute
La lettera

• da L'Unità del 1 febbraio 2005, pag. 24

Signor Direttore,

è capitato a tutti, nella vita privata come in quella pubblica, di accorgersi troppo tardi dell’importanza di un’occasione: ed è capitato a tutti -poi- di associare quel ritardo, quella mancata o tardiva intelligenza della situazione, al fatto che l’occasione -nel frattempo- divenisse un’occasione perduta. Ecco, io mi auguro che -tra qualche giorno- la “grande alleanza democratica” e i…”piccoli radicali” non abbiano da fare i conti con un sentimento simile.

La mia valutazione è che, contro tante previsioni, è oggi davvero a portata di mano l’opportunità, a suo modo storica, di un’intesa tra la sinistra italiana e il movimento radicale, il movimento referendario dei diritti umani e civili.

La premessa da cui i radicali sono partiti è nota ai Suoi lettori. Oggi, per molte ragioni, i diritti democratici, quello che la Costituzione chiama (o chiamava?) “diritto a concorrere democraticamente alla vita politica nazionale” non vale più per tutti, ma è un privilegio assicurato solo a chi vive all’interno del recinto dei due Poli. A partire da questo presupposto, Marco Pannella ha avanzato la proposta di “ospitalità”. Chiarendo che, in caso di risposta positiva da parte dei nostri interlocutori, già per le prossime elezioni regionali scatterebbe la presentazione di liste radicali a sostegno di tutti i candidati presidenti della Gad, e il conseguente impegno per le elezioni politiche dell'anno prossimo. Con effetti -credo che ciò sia pure noto a tutti- per tanti versi decisivi, anche da un punto di vista strettamente elettorale.


Occorre però sgombrare il campo da un paio di equivoci.


Intanto, non può trattarsi (lo ha molto bene chiarito a tutti Franco Marini) di accordi “caso per caso”, “regione per regione”. Vorrei dire che, perfino a prescindere da considerazioni politiche più generali (è noto che questa ipotesi ci appare politicamente povera), si tratterebbe di qualcosa di addirittura ingestibile: il nostro elettorato non è d’apparato (posto che esista, da qualche parte, un “elettorato d’apparato”). Ma, insomma, noi non siamo in condizione di dire: “In quella regione, c’è l’’ordine’ di votare Tizio, e nell’altra l’’editto’ di votare Caio”. O matura un’intesa complessiva, un movimento d’opinione, un fatto nuovo che sia comprensibile, che possa appassionare non solo i nostri, ma soprattutto tanti delusi, tanti astenuti, oppure è un’operazione astratta, sbagliata, controproducente per tutti.


In secondo luogo, non possiamo -credo- evocare un po’ feticisticamente la necessità di un’“intesa sul programma”. Emma Bonino lo ha sottolineato di recente: la stessa Gad ha avviato un serio e faticoso percorso di ascolto, di elaborazione, di ricerca, che durerà mesi (la “fabbrica del programma”, appunto); ora, dinanzi al fatto che lo stesso centrosinistra è faticosamente in cerca di un accordo sui contenuti, non si può pretendere che, magari in un fazzoletto di giorni, si raggiunga un’intesa di questo tipo con noi. Sarebbe un simulacro di programma, e di simulacri non abbiamo davvero bisogno.


Vede, signor Direttore, io sono molto grato a Lei, al Suo giornale, e ai parlamentari (da Natale D’Amico a Franco Grillini a Lanfranco Turci) che, con tanti altri, si stanno spendendo per la realizzazione di questa ipotesi politica. Vi sono molto grato perché non avete fatto finta che le difficoltà non esistano. Ci sono, eccome. E, per tentare un discorso alto, queste difficoltà rappresentano la versione attuale di tante delle più laceranti pagine della storia della sinistra italiana di questi decenni: non è stato certo un caso se, da Elio Vittorini a Pier Paolo Pasolini a Leonardo Sciascia, tante biografie siano state segnate dal rapporto con il Pci e poi da quello con i radicali (con tutta la drammaticità della cesura, o del momento di passaggio). Tanti radicali e tanti uomini di sinistra -ancora- non hanno dimenticato lo scambio di lettere tra Pannella e Togliatti del 1959: scorrendo ora quelle pagine, non si ha certo l’impressione di un carteggio polveroso, ma di qualcosa che parla -anche- all’oggi e dell’oggi.


Oppure, per scendere dal cielo della grande politica e della grande cultura ad un’attualità -diciamo così- meno scintillante, i radicali non fingeranno di essere d’accordo con le cose che l’onorevole Marco Rizzo ha detto e scritto sulle elezioni di domenica in Iraq. Ma, per altro verso, sono convinto che alla stessa sinistra nel suo insieme non convenga essere schiacciata solo su quelle opinioni. E infatti -spero- non ci si schiaccerà.


Ecco, i radicali possono -con umiltà ma anche con fierezza- servire a questo. Oggi non solo la cultura “libertaria”, ma ogni concreta speranza liberale, dall’economia ai diritti civili, vive uno strano destino: quello di misurarsi con l’entusiasmo dei cittadini (perché sia gli elettori di centrodestra che quelli di centrosinistra sarebbero lieti di assistere a qualche rissa in meno e a qualche riforma in più), ma di dovere spesso fare i conti con le diffidenze, le paure, le prudenze dei ceti dirigenti. Dinanzi a tutto questo, i piccoli radicali (a partire dalla grande vicenda personale e politica di Marco Pannella) testimoniano che un colpo d’ala è possibile. Che è possibile trasformare urgenze sociali in altrettanti punti concretamente iscritti nell’agenda civile e politica del paese, attraverso quella “cosa” che si chiama “lotta politica”.

Sappiamo che nell’Ulivo (e, d’altra parte, ciò è anche vero per settori della Casa delle libertà) vi sono spinte autenticamente riformatrici, di modernizzazione: vale sul terreno di una politica internazionale centrata sulla promozione globale della libertà e della democrazia; vale sul terreno della costruzione di una nuova rete di welfare, più estesa e più giusta rispetto all’attuale, dove convivono aree magari perfino eccessivamente protette ed altre completamente abbandonate a se stesse; vale, infine, sul terreno delle libertà individuali, dove ci aiuterà non poco l’appuntamento referendario, che -come in passato- non vedrà alcun “paese spaccato”, ma un dibattito civile e un voto consapevole.


Allora, forse, ha ragione Natale D’Amico, che ha ricordato come l’incontro tra radicali e centrosinistra sia avvenuto tante volte in occasione di vittorie, di avanzamenti dell’orizzonte civile del paese. Riproviamoci. Mettiamo al bando le paure, i tatticismi, i retropensieri. Il vertice della Gad, Romano Prodi in testa, è chiamato alla responsabilità di dirci un chiaro “sì” o un chiaro “no”. Io mi auguro che, in queste ore, nella bilancia delle valutazioni, il piatto delle “opportunità” si riveli più consistente di quello dei “rischi”. E anche con questa speranza, insieme ad una delegazione radicale, mi preparo ad assistere all’imminente Congresso dei Ds.


Daniele Capezzone

Segretario Radicali italiani



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