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Le donne guardano all’«esempio iracheno»
La partecipazione femminile al voto diventa modello da seguire, dibattito alla conferenza sulle mutilazioni genitali di Gibuti

Le delegate si interrogano sull’utilità delle quote in Parlamento: «Necessarie». «No discriminatorie»

• da Corriere della Sera del 3 febbraio 2005, pag. 11

di Cecilia Zecchinelli

DAL NOSTRO INVIATO

GIBUTI - L'Iraq fa discutere, non è una novità. Ma inedito è il clamore suscitato ovunque dalle sue donne accorse in massa alle urne sfidando ostacoli e minacce, dal fatto che il 25% dei seggi della nuova Assemblea nazionale sarà occupato da loro per legge.

Anche a Gibuti, la minuscola e turbolenta ex colonia francese sul Mar Rosso, ai margini della Conferenza internazionale contro le mutilazioni genitali femminili iniziata ieri si dibatte più in generale di diritti delle donne nel Sud del mondo. Di come garantire loro un posto nelle società che continuano a escluderle dalla sfera pubblica. E di strategie concrete, come appunto le quote in Parlamento, già utilizzate da decine di Paesi e ancora oggetto di polemiche.

Un esempio? Proprio il modello iracheno aveva dato negli ultimi tempi nuova forza ai gruppi femminili del Bahrein nel fare pressione perché anche il piccolo emirato introduca un sistema di quote in vista delle elezioni del 2006. La presidente della Società delle Donne, Naima Morhoun, lo aveva definito necessario per superare «discriminazione tra sessi, mancanza di coscienza politica e basso livello di istruzione». Ma la moglie del sovrano, Sheikha Sabika, ha dichiarato che non se ne parla: l'idea lede il principio costituzionale di parità tra i sessi. «Donne e uomini sono uguali di fronte alla legge - ha detto - far differenze tra loro in base al sesso sarebbe ingiusto, chi siede in Parlamento deve essere scelto solo per i suoi meriti». Piuttosto, ha aggiunto, offrirà «sostegno tecnico e morale alle donne che vogliono affrontare la responsabilità di candidarsi».

Posizione ampiamente diffusa tra le donne d'Occidente. E difesa anche a Gibuti dalla europarlamentare radicale Emma Bonino (tra le organizzatrici della conferenza) e da Daniela Colombo (direttrice dell'Ong per i diritti delle donne Aidos), secondo le quali «la questione è ormai stata discussa e risolta da tempo da noi». Ma tra politiche africane e arabe emerge una posizione diversa: «Le quote sono assolutamente positive come primo passo nelle società fortemente maschiliste come le nostre», dice Linah Kilimo, combattiva ministro del Kenya per gli Affari interni, tra le politiche più attive contro le mutilazioni femminili. «Le donne sono importantissime nella guida politica della società, anche in Iraq saranno loro a costruire ponti di pace e risultati concreti. Ma in Africa e nel Sud del mondo il loro contributo è ancora ostacolato dagli uomini, che da sempre hanno il potere e non vogliono privarsene. Dobbiamo muoverci con abilità e determinazione, utilizzando tattiche che di per sé magari non approviamo, come le quote, per guadagnare spazio».

Anche la ministra per la Famiglia e gli Affari sociali di Gibuti, Hawa Ahmed, concorda: «Sono stata nominata due anni fa grazie al sistema di quote e ora siamo 7 donne in un governo di 65 ministri. Fino all'introduzione di questa norma nessuna donna aveva mai avuto un ruolo politico qui. La questione - aggiunge - è di estrema attualità, sono appena tornata da una conferenza organizzata al Cairo proprio su questo argomento, le egiziane stanno combattendo per ottenere una rappresentanza parlamentare garantita».

Positiva anche l'opinione della neo-ministra per la donna del governo transitorio della Somalia, Fawzia Mohamed Sheikh, e in fondo pure quella di una nota esperta di diritti della donna africana, Somaya El Tayeb, discendente di una famiglia tra le più progressiste del Sudan. «Un passo avanti, le quote, certo. Vanno accettate. Ma chi ci garantisce che poi le donne siano in grado di prendere decisioni e governare? - dice -. Non vogliamo solo quantità ma qualità, vero potere. La battaglia più dura è per l'istruzione della donna, i suoi diritti, l'abolizione di tradizioni maschiliste e discriminatorie». A partire dalle mutilazioni sessuali, naturalmente, contro cui tutte queste donne sono oggi impegnate a Gibuti.



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