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Droghe, la repressione inutile e dannosa

• da L'Unità del 18 febbraio 2005, pag. 24

Quelli che seguono sono brani estratti dal documento consegnato da Marco Cappato, Segretario dell'Associazione Luca Coscioni, e dall'Avvocato Giuseppe Rossodivita, della Direzione dei Radicali italiani, alla Commissione Sanità del Senato, dopo l'audizione sulla Legge Fini in materia di droghe, tenuta in rappresentanza della Lega Internazionale Antiproibizionista

Il disegno di legge Fini aggrava il quadro proibizionista e repressivo in particolare su quattro punti: la caduta delle differenze tra droghe leggere e droghe pesanti; il ripristino di una dose massima che fa da soglia tra consumo e spaccio; l'inasprimento delle sanzioni, sia penali che amministrative; l'alternativa obbligata tra carcere e comunità. Il combinato disposto di queste norme colpirebbe soprattutto i 3-4 milioni di consumatori abituali dei derivati della cannabis, una droga che, al contrario di alcol e tabacco, non produce né assuefazione ne dipendenza fisica (entro i limiti dei comportamenti di consumo generalmente seguiti), e che non sottopone il consumatore al rischio di morte per overdose. Nella misura in cui le forze dell'ordine fossero ulteriormente distolte dalla lotta contro il crimine per inseguire i consumatori, l'amministrazione della giustizia si troverebbe ad affrontare un ulteriore aggravio del già insostenibile carico di lavoro. Nel farlo, non potrebbe più contare sul margine di apprezzamento da parte del giudice, in quanto vincolato dall'automatismo che, in base alla quantità, divide il consumo dallo spaccio. In altre parole il giudice sarebbe obbligato a considerare spacciatore sanzionare penalmente, chiunque produce, commercializza, ma anche detiene oltre a una certa quantità qualsiasi sostanza stupefacente proibita, anche nel caso in cui sia dimostrabile che la detenzione è unicamente a fine personale. Per la cannabis, le pene aumenterebbero: da un anno (per i casi di lieve entità) a vent'anni nella proposta di legge, mentre oggi si va dai 6 mesi ai 6 anni.


Si potrebbe ribattere che sotto la dose prevista le sanzioni sono solo amministrative, dunque "miti". Così non è. Oggi il Prefetto ha la facoltà di archiviare il procedimento allorquando è presumibile che per il futuro il soggetto si asterrà dal far ulteriore uso di sostanze stupefacenti. Questa facoltà è stata espunta nel disegno di legge, con la conseguenza che dovranno senz'altro essere applicate le sanzioni amministrative (sospensione della patente o divieto di conseguirla, sospensione del passaporto, ecc.). Chi è già stato condannato, anche non definitivamente e per altri reati, potrebbe essere sottoposto fino a due anni di misure quali l'obbligo di presentarsi presso l'ufficio della polizia per 2 volte la settimana, l'obbligo di rientrare nella propria abitazione prima di una certa ora e il divieto di allontanarsi dal comune di residenza. La convalida del provvedimento del Questore sarebbe affidata ai giudici di pace, e la violazione anche di una sola delle disposizioni impartite sarebbe punita con l'arresto da 3 a 18 mesi. Il ricorso su larga scala e per via amministrativa a misure cautelari limitative della libertà personale di tale gravità consegnerebbe alle forze dell'ordine un potere da Stato di Polizia, esponendo i cittadini e le stesse forze dell'ordine ad abusi di ogni tipo.
L'unico elemento di novità che non va in direzione di una maggiore repressione riguarda il ruolo delle comunità terapeutiche, e la possibilità di evitare il carcere sottoponendosi a trattamenti di recupero. A ben guardare, la strategia non è priva di rischi: puntare tutto sulle comunità penalizzerebbe terapie sostitutive e di riduzione del danno che solitamente non implicano il ricovero in strutture apposite, e per le quali i servizi pubblici per le tossicodipendenze e i medici di base possono svolgere un ruolo fondamentale. ~ inoltre provato che la cura in comunità di recupero ha scarsissime possibilità di successo se effettuata da parte di un cittadino  costretto a scegliere tra comunità e carcere. Per i consumatori di cannabis, la questione assume connotati di vera e propria farsa. Non essendo tossicodipendenti  nel senso clinico del termine, cioè non soffrendo né crisi di astinenza né altri disagi significativi dalla non assunzione di droghe, come possono essere "curati" dalla comunità terapeutica? E’ evidente che per tutti costoro dovranno crearsi strutture "costrette" a mettere in atto trattamenti di tipo psichico applicati su larga scala, con grande dispendio di risorse pubbliche e senza alcun criterio scientifico per il controllo dei risultati.
Se dunque è vero che la tossicodipendenza non si cura in carcere, come lo stesso Presidente del Consiglio ha riconosciuto, è falso che la proposta di legge Fini presenti valide alternative, che non possono basarsi sul ricovero coatto, ma sulla restituzione al cittadino della libertà e responsabilità delle proprie scelte, compresa quella di avvalersi dell'aiuto di un medico al quale non venga più negata la libertà di proporre le terapie più adatte.



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