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Capezzone: Referendum, liste elettorali da rivedere

• da Corriere canadese del 25 marzo 2005, pag. 1

di Alan Patarga



In America li chiamano neocons, perché sono quei conservatori che - mutuando aspirazioni e principi cari ai Democratici - hanno rivoluzionato l'approccio dei Repubblicani alla politica estera, cancellando la vecchia dottrina dell'isolazionismo per rispolverare il concetto di "ingerenza democratica". "Esportazione della democrazia" e "domino democratico" sono alcune tra le formule politiche che più stanno caratterizzando la presidenza Bush e che, in parte, hanno contraddistinto anche quella di Ronald Reagan.
In Italia c'è solo una forza politica che sposa in tutto e per tutto, e non da oggi, la dottrina neoconservatrice: e sono i radicali. Mentre il mondo si divideva ancora in blocchi, chi con gli Stati Uniti chi con l'Unione Sovietica, loro già parlavano di libertà e democrazia per tutti: in Cile e in Vietnam, in Cina e nella Grecia dei colonnelli.
Daniele Capezzone, 32 anni appena, è il giovane segretario dei Radicali italiani, nati negli anni Cinquanta da una costola (la costola sinistra) del Partito liberale e che, in quasi cinquant'anni, sono stati protagonisti di alcune tra le battaglie civili in Italia: divorzio, aborto, libertà di ricerca scientifica, no al nucleare sono temi legati alla loro storia. Una storia scritta spesso a colpi di referendum. Li si ama o li si odia, e difficilmente si riesce ad essere loro alleati: il centrodestra li ama per le posizioni in economia e in politica estera, ma non li "digerisce" sui temi di bioetica. Viceversa il centrosinistra, del quale molte forze negli anni Settanta furono vicine al movimento fondato da Marco Pannella ed Emma Bonino, li apprezza su tanto ma non li condivide in pieno.
Apprezzarvi vi apprezzano un po' tutti: da sempre voi radicali siete considerati la coscienza critica della politica italiana. Eppure, quando avete chiesto "ospitalità" a uno dei due Poli per le elezioni regionali, alla fine vi hanno sbattuto tutti la porta in faccia.
«Effettivamente non ci illudevamo sulle possibilità di un accordo complessivo: né con la Cdl né con l'Unione. Speravamo soltanto che i responsabili di una delle due principali coalizioni italiane ci dicessero: "Non siamo d'accordo con voi su tutto, ma vi aiutiamo in una parte del vostro percorso". Non è stato così. La nostra principale amarezza è dovuta però al rifiuto del nome delle nostre liste, le "Liste Luca Coscioni". Luca è il nostro presidente, è un malato di sclerosi laterale amiotrofica: è il simbolo, e uno dei motori, delle nostre battaglie per la ricerca scientifica».

Una di queste la state conducendo in queste settimane: quella sul referendum per cambiare la legge Sirchia sulla procreazione medicalmente assistita.
«è una legge che colpisce le speranze di paternità e di maternità di tante coppie che grazie a una ricerca scientifica libera di progredire potrebbero avere dei bambini. E una legge, anche, che impedendo la ricerca sulle cellule staminali blocca anche le speranze di cura per persone come Luca Coscioni».
La data del referendum non è ancora stata fissata. Però questo sarà uno dei primi appuntamenti ai quali potranno prendere parte gli italiani residenti all'estero. Qual è in questo senso il messaggio dei radicali?
«D'istinto direi: di andare a votare per i quattro "sì". Cioè per abrogare tutto ciò che è abrogabile della legge 40. Però mi rendo conto che ci sono dei problemi a monte, prima ancora degli appelli al voto: finora si è tanto insistito sul voto degli italiani all'estero per le Politiche, quando cioè si tratta di farsi eleggere al Parlamento, di avere posti di potere. In questo caso, invece, c'è di mezzo una battaglia di civiltà, una riforma importante per consentire all'Italia di essere un Paese aperto alla ricerca scientifica, e non invece un Paese oscurantista. Perciò il primo problema è informare le comunità all'estero. Attraverso un quotidiano come il Corriere Canadese, e attraverso tutti i canali possibili. Per votare sapendo cosa cambia tra un "sì" e un "no" bisogna prima di tutto essere informati. E Rai International, che tra l'altro in Canada non c'è ancora, non sta facendo molto, al riguardo. Poi c'è un altro punto: quello delle liste elettorali. Da tempo noi radicali stiamo denunciando "trucchi" e irregolarità sul conteggio degli aventi diritto al voto: spesso nel numero rientrano anche persone ormai morte, disperse, trasferitesi altrove. Questo, in un referendum dove il tasso di astensione farà la differenza per il raggiungimento del quorum, rischia di essere un grosso problema. Gli italiani all'estero quindi subiscono una tripla beffa: cinquant'anni passati per ottenere il voto, scarsa informazione e liste elettorali sballate».
 

 

Il Partito radicale si è sempre distinto, in politica estera, per l'adozione della "discriminante democratica". Qualcosa di molto simile a quello che sostiene, oggi, il presidente Bush. Vi sentite in sintonia con Washington?
«In linea di massima sì. L'idea della promozione, più che "esportazione" della democrazia nelle regioni governate dai tiranni, è una nostra battaglia da sempre. Però bisogna evitare un certo rischio, e cioè che la promozione della democrazia si associ alla promozione della guerra. La carta militare deve essere invece l'ultima opzione. La pressione dell'opinione pubblica internazionale, il sostegno ai dissidenti e alle opposizioni democratiche, sono cose ancora più importanti. E, come piace a noi, nonviolente. Certo, le invasioni di Afghanistan e Iraq stanno avendo anche effetti positivi: libere elezioni e la fine di regimi liberticidi come quelli dei talebani e di Saddam. E il "contagio" si sta espandendo: Georgia, Ucraina, Kirghizistan, Libano, Palestina. Tutti Paesi che si stanno facendo travolgere da questo domino democratico. L'ultimo libro dell'ex dissidente russo Natan Sharansky, che Bush cita spesso, dice che ogni popolo aspira alla libertà. E lo stesso David Brooks sul New York Times sostiene che tanti, in tanti angoli del mondo si stanno chiedendo: "Why not here?". Ecco, questo è quello che noi diciamo da sempre».
Nel vostro mirino ci sono da sempre Paesi come la Cina. Ma anche la Russia di Putin.
«Come si fa a definire democratico un Paese dove il presidente viene rieletto con l'80 per cento dei voti, chiude imprese, giornali e televisioni a suo piacimento e conduce da anni una guerra senza quartiere a una piccola repubblica, la Cecenia, che chiede l'indipendenza? Le sue trame per creare un polo alternativo, con Cina, Corea del Nord, India e Iran in prima fila, è evidente. I rapporti con Teheran per il nucleare direi che sono una prova tangibile. Dovremmo rifiutarci di aprire i mercati a Paesi che non rispettano i diritti civili dei propri cittadini, e invece l'Unione europea che fa? Non solo apre le porte alla Cina, dove le minoranze politiche e religiose sono perseguitate nonostante la nascita di un capitalismo per pochi eletti, ma addirittura vuole revocare l'embargo per la vendita delle armi a Pechino. In questo senso la candidatura della nostra Emma Bonino ad Alto commissario Onu per i Rifugiati, sostenuta dal governo italiano, potrebbe essere una carta importantissima da giocare».

 

 

 



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