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Ruini alla guerra del referendum
Il presidente Cei compatta il «partito dell 'astensione». I comitati: «Così si svuota la democrazia».

• da L'Unità del 29 marzo 2005, pag. 11

di Salvatore Maria Righi

Ingerenza forse no, ma certo poco opportuno e comunque piuttosto criticabile nel merito. Fa discutere l'ultimo, ennesimo, intervento del cardinal Ruini, presidente della Cei, a proposito dei referendum sulla procreazione. Il prelato ha rivendicato una volta di più il diritto della Chiesa a dire la sua e soprattutto ha ribadito la via dell'astensione. Non è la prima volta che Ruini prende posizione sui quesiti, anzi ormai non perde occasione per ripetere l'invito a disertare le urne nella consultazione sulle modifiche alla legge 40. Tanto che ormai qualcuno considera il cardinale come il «capo» del partito dell'astensione e quindi dell'opposizione al referendum, col suo nuovo messaggio agli italiani: «Riteniamo utile non votare in questo referendum, come prevede la Costituzione stessa».

La campagna del boicottaggio. La prima volta era stato a Bari, in gennaio, alla conclusione dei lavori del Consiglio episcopale permanente. In quell'occasione Ruini aveva dichiarato che «la Chiesa non ha soltanto un diritto, ma ha un dovere di esprimersi su tematiche come queste. La Chiesa come tale, e questo è l'epilogo da sfatare, non si pronuncia soltanto sui principi, ma anche sul concreto dei provvedimenti che hanno grande implicazione morale e antropologica». Nello specifico dei quesiti sulla procreazione il cardinale ha poi aggiunto: «Sul referendum sceglieremo le vie che appariranno più efficaci per respingere queste proposte referendarie che riteniamo gravemente peggiorative della legge. Questa è la mia indicazione. Quella dell'astensione è una probabile via». Il cardinale ha tolto ogni dubbio due settimane dopo, aprendo i lavori del successivo Consiglio permanente della Cei, chiedendo «grande compattezza» nell'astensione dai referendum e chiedendo ai cattolici di astenersi dal voto «per impedire il grave peggioramento della legge sulla procreazione assistita che avrebbe luogo se i referendum avessero esito positivo». ln,quell’occasione, rilanciando le posizioni del comitato «Scienza e vita» («Non è voluto dai vescovi e non raccoglie soltanto cattolici» ) che ha lanciato la campagna per l'astensione, il cardinale ha anche focalizzato la sua attenzione sul mancato raggiungimento del quorum nei referendum sulla legge 40. Una settimana fa, personalizzando ancora di più l'impegno, il cardinale ha rincarato la dose diventando la «bandiera» dell'opposizione ai quesiti. In un'intervista a Famiglia Cristiana, il presidente della Cei ha dichiarato: «La nostra indicazione è rivolta a tutti gli elettori, non solo ai cattolici. Che la Chiesa possa dare indicazioni concrete su comportamenti pubblici, quando sono in gioco valori molto importanti, non è un fatto nuovo: lo ha sempre fatto».

Democrazia svuotata. Sulle parole del cardinale, che è stato intervistato l'altro giorno anche da La Repubblica, si è espressa Cinzia Dato, senatrice della Margherita: «Non mi meraviglio che il cardinal Ruini cerchi di orientare la scelta dei cattolici, ma mi sembra inaccettabile che si arrivi a promuovere l'astensione e, così facendo, a svuotare un istituto fondamentale della democrazia come il referendum. È un atteggiamento che mi lascia allibita anche perché nella nostra storia gli ambienti cattolici hanno casomai difeso e appoggiato la scelta di partecipazione ai referendum, basti pensare al divorzio e all'aborto. Non si fa, così, un buon servizio alla coscienza civile dei cattolici e al loro ruolo di cittadini».

Ingerenza politica. Dello stesso avviso il professor Massimo Cacciari, contrario al coinvolgimento della Chiesa nella consultazione referendaria e nei suoi meccanismi di espressione: «Un conto è che la Chiesa esprima le proprie posizioni teologiche o fondandosi su questioni etiche, comunque riferendosi a principi generali, un altro che entri in polemica con le leggi dello stato in quelle materie. Voglio dire che esprimere un orientamento generale su principi motivati dal punto di vista teologico è ben diverso che fare pole mica su questa o quella legge, intervenire in forma diretta e contro una parte dello schieramento politico». «è insomma discutibile - afferma Cacciari - l'invito a non andare a votare pronunciato dalla Chiesa, utilizzando tatticamente le possibilità che offre la legge. La Chiesa dovrebbe sempre invitare ad un impegno esplicito e non ipocrita, e non è eticamente corretto sfruttare un meccanismo della legge».

Anni Cinquanta. Le parole di Ruini inducono il responsabile della comunità «L'Isolotto» di Firenze, don Enzo Mazzi, a lanciare un allarme: « È un atteggiamento molto pericoloso quello del cardinale, che ci riporta indietro di 50 anni, ai tempi precedenti alla Costituzione e alla spaccatura tra cattolici e laici. Un modo di riaggregarli sul tema del referendum, mettendoli in posizione di disimpegno verso la partecipazione al referendum, invece di essere liberi di comportarsi secondo coscienza cristiana» . L'ingerenza, secondo don Mazzi, è riferibile all'«intreccio tra sfera ecclesiastica che comunque è gerente di un potere e quello politico, e alle regole che li governano». Giorgio Tonini, Cristiano sociali, preferisce entrare nel merito dell'invito all'astensione: «Questa indicazione a mio giudizio comporta alcuni problemi, a cominciare dal fatto dell’ammissione implicita della posizione minoritaria di chi difende la legge 40. Se vince l'astensione, la legge sarà salvata dal punto di vista tecnico, ma delegittimata politicamente. E una cosa del genere, su un quesito così delicato dal punto di vista etico, non è certo buona per il Paese. Chi promuove l'astensione sa che se si votasse perderebbe, quindi spera di vincere invitando la gente a non votare». «Lo schierarsi di Ruini? - aggiunge Tonini - Fa parte della democrazia che anche le aggregazioni sociali come la Chiesa prenda una posizione pubblicamente, però deve assumersi le sue responsabilità ed accettare le critiche, perché non può pretendere di parlare ex cathedra, ma ex tribuna come tutte le altre voci».

Libertà di ricerca

L'appello di Luca Coscioni: «La data sia maggio il governo non boicotti»

«Parlano di libertà di coscienza, come se la nostra coscienza avesse bisogno del loro permesso. Ma a me non interessa che si "schierino". Mi interessa molto di più che consentano una partita non truccata, un confronto vero, fatto di dibattiti e di informazioni». Così Luca Coscioni - il 38enne ex-ricercatore universitario che anni fa è stato colpito dalla sclerosi laterale amiotrofica che lo ha paralizzato e che oggi combatte con l'omonima associazione per la libertà di ricerca scientifica - in un'intervista pubblicata sul sito www.articolo2l.info. «Spero anche che Berlusconi non fissi il voto al 12 giugno. Sarebbe più opportuno far svolgere il referendum a maggio, non in prossimità delle ferie estive, in modo da evitare il fenomeno dell'astensione. La legge consente che il governo possa decidere una data che sia tra il 15 aprile e il 15 giugno. Sa che deve scegliere il giorno più adeguato per consentire l'elettore ad andare alle urne. E il giorno più opportuno certamente non sarà quello che farà prevalere questioni di opportunità politica, rispetto agli interessi del corpo elettorale che dovrebbe essere quello di votare nelle migliori condizioni possibili. Verrà penalizzata l'affluenza alle urne dell'elettorato». Poi Coscioni si sofferma sul peso e sulle scelte dei cattolici e sugli appelli lanciati dai vertici ecclesiali perchè il referendum fallisca: «Le gerarchie vaticane conoscono bene la realtà di molti credenti che accettano sia le verità della religione sia le verità della scienza. Quando si è trattato di rispondere a questioni fondamentali della vita nell'ambito della coscienza privata, proprio i cattolici sono stati in grado, per l'aborto e il divorzio, di rifiutare il dogmatismo dericale ».

Controcoro

Il canditato di centrodestra: «Andrò a votare e nell'urna metterò 4 sì» Voci contro l'ordine di scuderia impartito dal premier. Nella Casa delle libertà c'è qualcuno che sul referendum esce allo scoperto. Addirittura in piena campagna elettorale. È il caso di Carlo Monaco, candidato del centrodestra alla guida dell'Emilia-Romagna, l'avversario che la maggioranza ha scelto per la sfida impossibile a Vasco Errani. «Al referendum andrò a votare», confida a l'Unità. È come se Monaco avesse accolto l'invito che i comitati hanno rivolto da alcune settimane ai tanti che si presentano alle elezioni: fate della scelta referendaria un punto qualificante del vostro programma, dite come la pensate, non nascondetevi dietro i tatticismi, i cittadini vogliono sapere. E Monaco - ex braccio destro dell'ex sindaco di Bologna Guazzaloca - esce allo scoperto. Spiega: «Innanzitutto penso che il vuoto legislativo sia un rischio che non si può correre in una materia del genere: dunque una legge è necessaria per porre limiti, fissare criteri ed evitare ogni rischio di mercificazione. Ho letto che Angelo Panebianco non esclude un voto articolato sui quattro quesiti. Personalmente però penso che andrò a votare, perché il referendum è uno strumento che non va sottovalutato». Poi entra nello specifico dei singoli punti della legge su cui i referendari puntano: «Voterò sicuramente sì al quesito sulla ricerca scientifica», dice. Poi una valutazione che è vera anche per tanti cattolici, nonostante i diktat dei vertici vaticani: «Ritengo che non si possa trattare la procreazione come se fosse un aborto: qui si tratta di creare la vita. Ci devo ancora pensare, ma non escludo quattro sì».



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