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Brunetta c'è e scrive
Le parole della Prestigiacomo sono frutto di una mentalità che da sempre discrimina il diverso.

• da Il Foglio del 14 aprile 2005, pag. 4

Al direttore - Mi riferisco alla trasmissione "Omnibus" andata in onda su La7 lunedì mattina durante la quale il ministro per le Pari opportunità onorevole Stefania Prestigiacomo ha utilizzato una terminologia irriguardosa, non solo verso di me che, comunque, bene o male sono in gioco, e quindi in discussione, sul tema della difesa della legge 40, quanto soprattutto verso una categoria di persone come gli affetti dalla Sindrome di Down qui utilizzati come esempio di fenomeni da baraccone.

 

Mi soffermo brevemente sulle ulteriori esternazioni del ministro, riportate a mezzo stampa, in cui non soddisfatta del suo operato rincara la dose, non solo evitando di scusarsi per un comportamento non consono, soprattutto perché tenuto da una persona che ricopre incarichi istituzionali, ma addirittura parlando di strumentalizzazione della frase da lei pronunciata.

 

La cosa mi ha colpito ma non certo meravigliato, il ministro, e molti altri come lei, è il prodotto di quel tipo di cultura che per anni ha discriminato la "diversità", quel tipo di cultura che ha trasformato una legge dello Stato, concepita in difesa della salute delle donne, quella sull'aborto, in un vero e proprio sistema di controllo delle nascite, come anche lei, caro direttore, nel suo editoriale di ieri mattina mette bene in evidenza.

 

Per l'episodio moltissimi mi hanno voluto esprimere solidarietà, ringrazio di cuore, ma consenta che lo faccia in particolar modo sia ai Radicali italiani sia all'Associazione Luca Coscioni, per due motivi fondamentali: il primo è quello di aver accettato la mia posizione senza cercare spunti polemici, abbassando i toni troppo accesi del dibattito di qualche mese addietro, nella pienezza di un confronto democratico; la seconda è quella di aver alimentato questa discussione, fin dall'approvazione della legge 40, su tematiche così importanti e così sottovalutate in passato.

 

Rileggendo il suo editoriale comunque mi salta agli occhi una frase che usa relativa ad una mia possibile strumentalizzazione clericale come "sospetto" che indebolirebbe la mia posizione nel "mainstream liberale e laico".


Tengo a ribadire che io non sono stato strumentalizzato da nessuno, né dal clero né da una parte politica piuttosto che da un'altra, ho semplicemente chiesto che si smettesse una vergognosa, falsa ed indecente campagna di stampa in atto, dequalificante verso i malati ed in particolar modo thalassemici solo per cercare di dimostrare l'iniquità di una legge, che in realtà, a mio giudizio, interviene non solo per regolamentare una materia che aveva bisogno di essere regolata ma introduce un aspetto fondamentale che è la difesa di tutti i soggetti che ne entrano a far parte e quindi anche del concepito.

 

E' una battaglia che io ho condotto solitario da molti anni senza alcun successo nella più totale e supponente indifferenza della grande stampa e della televisione. Solo l'animata discussione su questa legge ha reso palese il problema. Solo ora orecchie attente scoprono, con sorpresa, la profondità dei temi in discussione.

 

Ho potuto leggere come Oriana Fallaci stigmatizzi, proprio oggi sul Foglio (ieri per chi legge, n.d.r.), come solo lei sa fare, come la cosiddetta civiltà contemporanea consideri i malati, soprattutto quelli cronici.

 

Ho solo voluto ricordare che "il concepito" sei tu che leggi ed io che scrivo, siamo tutti noi, e credo che a nessuno piaccia sapere di poter essere discriminato da prima della nascita, tanto più per una persona nella mia posizione dì "malato cronico", che certamente sarebbe stato discriminato da questo tipo di cultura. Ho solo voluto rivendicare attenzione ai problemi di questa malattia. Se questa rappresenta uno spauracchio tanto grande perché non investire in ricerca per debellarla? 

E' noto che gli enormi interessi economici connessi debbono avere una giusta collocazione ma non debbono certamente prevalere sull'interesse dei malati.

 

La comunicazione di massa è andata in altra direzione compromettendo le già scarse risorse che vengono destinate alla ricerca su queste patologie per orientare l'interesse, anche economico, verso strade diverse a tutt’oggi improduttive.  Io non sono mai stato "normale"  Io faccio parte di quella schiera di persone "meno fortunate" di altre che ha potuto sopravvivere perché una volta un figlio era semplicemente il coronamento di un progetto di famiglia, non l'oggetto del desiderio da realizzare ad ogni costo. 

 
Io, ma sarebbe meglio dire quelli come me, sono quello che la vita l'ha strappata giorno per giorno ad una malattia che trent'anni fa non lasciava vivere a lungo, ma sono ancora qua, e sono contento di esserci, non sono contento di essere malato, come qualcuno ha ironicamente sussurrato, vorrei poter guarire domani, ma se non sarà possibile pazienza.

 

Ho una percezione diversa della malattia rispetto a coloro che sono nati sani ed hanno condotto una vita serena e spensierata fino a venti, trent'anni e poi a causa di una malattia sono stati costretti ad accettare un nuovo ed indesiderato compagno di viaggio, è giusto che costoro reagiscano con rabbia nei confronti di una nuova condizione che li ha strappati alla "normalità''.

 

Io la "normalità" non l'ho mai conosciuta, me la sono costruita giorno per giorno, è una normalità in cui sto bene, che non intendo certo imporre a nessuno, ci mancherebbe altro, desidero solo che si sappia che si può vivere attivamente e in pace con se stessi anche così.  



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