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Il destino del referendum e gli obiettivi del Vaticano

• da L'Unità del 28 aprile 2005, pag. 25

di Marco Cappato

Secondo Lanfranco Turci «non sarà il Papa a modificare il destino del referendum». Non potrei non essere d'accordo, non solo per la continuità con un impegno antireferendario che non aspettava un nuovo Papa per esprimersi, ma anche per i magri, o per meglio dire nulli, risultati storicamente raccolti dalla Conferenza Episcopale Italiana nel tentativo di condizionare gli appuntamenti elettorali, dal referendum sul divorzio fino alle ultime elezioni regionali. Al momento della nomina di Ratzinger, ho espresso, come riportato nell'intervista la speranza che gli italiani salutassero il nuovo Papa sconfiggendo, il 12-13 giugno, la linea vaticana nei referendum sulla fecondazione assistita. Sul fatto che il referendum non sia né "contro" Ratzinger né contro altri, ma "per" l'affermazione di una buona regolamentazione sulla fecondazione e la ricerca scientifica, non ci sono dubbi. Va aggiunto però che le implicazioni politiche - anche per il Vaticano, come per le altre componenti della partitocrazia italiana - sono più ampie. Il livello di esposizione e di propaganda, abbondantemente sostenuta con mezzi mediatici ed economici in buona parte finanziati dal contribuente, ha reso il Vaticano (non il Cattolicesimo, o i cattolici, ma il Vaticano) un soggetto politico direttamente in causa sui referendum. L'esposizione non riguarda solo l'Italia: il riconoscimento della Santa Sede come "Stato", ottenuto alle Nazioni Unite, ha già dato i suoi frutti nell'approvazione di una risoluzione non vincolante per la messa al bando a livello mondiale della cosiddetta "donazione terapeutica", contro il parere, tra gli altri, di 78 premi Nobel che avevano sottoscritto l'appello di Luca Coscioni. E’ evidente che un successo dei quattro "sì" il 12-13 giugno potrebbe indurre a maggiore cautela gli strateghi delle nuove crociate mondiali contro la scienza. Il cardinale Ratzinger è stato, su questi temi, tra i portabandiera di una posizione certamente antiliberale e antiriformatrice, non solo nel merito, ma anche nel rapporto Stato-Chiesa e all'interno della Chiesa stessa. Senza voler ridurre - nel bene o nel male - le questioni che investono il nuovo Papa alla questione referendaria, e tanto meno cercando la personalizzazione di un
”nemico” da indicare a gli elettori, se è vero che "non sarà il Papa a modificare il destino del referendum", e invece possibile che sia il referendum a modificare, se non il "destino", le ambizioni politiche e gli obiettivi temporali del Vaticano e del Papa stesso.



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