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Da Pannella a Craxi a Berlusconi se la politica dice di andare al mare
Cominciò senza successo con la scala mobile il tentativo di far fallire un referendum con l'astensione.

• da La Repubblica del 18 maggio 2005, pag. 17

di Filippo Ceccarelli

E comunque: chi è senza astensionismo scagli la prima pietra. Con il voto sulla procreazione ormai alle porte, e rispetto al consueto mal di quorum che da una decina d'anni accompagna questogenere di consultazioni, la storia referendaria invoca un esame di coscienza sulla legittimità o la ribalderia, la tentazione o l'assennatezza di disertare le urne. Perchè tutti, più o meno, chi prima e chi poi, chi in un modo elegante e chi grossolano, di fronte a qualche ingombrante referendum hanno detto: “Andate al mare”. 

La frase originale appartiene a Craxi, che la pronuncio nel 1991 davanti al quesito sulla preferenza unica. Mancavano tre giorni al voto, e l'allora presidente della Repubblica Cossiga sembrava d'accordo con lui, poi di colpo cambiò idea. Il segretario socialista l'apprese a Caprera, durante un pranzo. Su questa storia di andare al mare - dopo tutto lui ci stava già – un giornalista gli mise sotto il naso un microfono. Craxi non rispose, anzi platealmente girò le spalle alle telecamere, cioè ai milioni di telespettatori, e ordinò a un commensale: “Passatemi l'olio! Si può avere un po' d'olio?”. Come si ricorderà, allora gli elettori non accolsero l'invito vacanziero: e a quella frase si fa addirittura risalire l'inizio della fine del Psi. 

Ma in molti altri casi, a partire dai referendum sulla caccia e sui pesticidi, boicottati da cacciatori e coldiretti, fino alle tornate del 1997, del 1999, del 2000 e del 2003 l'assenteismo ha pagato, eccome.”Resta te a casa” fu ad esempio la formula che Berlusconi adottò cinque anni orsono. Astensionismo attivo e ”politicamente motivato” spiegò. E tuttavia con le stesse generiche parole l'avrebbero potuta mettere i Cub e i Cobas, che certo non la pensavano come il Cavaliere, ma che disertarono alcune di quelle consultazioni. 

E insomma: tutti a turno e con crescente successo hanno cercato di boicottare i referendum. Destra, sinistra, cattolici e laici. Così come ognuno a destra e a sinistra, fra i cattolici e i laici si è regolarmente lamentato che qualcun altro avesse scelto di disertare le urne. Da questo particolarissimo punto di vista, l'incoerenza dei comportamenti politici trova riparo nel naturale oblio di tutta una lunga e intricata vicenda che tra referendum promossi, cassati dalla Cassazione o dalla Consulta, effettuati, con il quorum, privi di quorum, vinti, persi o che non hanno sortito alcun effetto, ecco, non ci si capisce più nulla. Per cui se ne ricordano pochissimi, il divorzio, l'aborto, qualche altro, ma poi vai a sapere il soggiorno cautelare, il ministero dell'Agricoltura (ce ne sono stati due), gli elettrodotti, gli incarichi extra giudiziari (anche qui due, entrambi andati a buca!) o l'orario dei negozi. 

E l'unico modo per raccapezzarsi e compulsare le utili tabelle aggiornate de “La storia dei referendum” di Anna Chimenti (Laterza), come pure “La Repubblica dei referendum” di Augusto Barbera e Andrea Morrone (Il Mulino). Ma il punto che qui si vorrebbe sottolineare o meglio esemplificare è che Pierferdinando Casini, che oggi si astiene, nel 1997, allorché non si raggiunse il quorum sui sette referendum, non esitò a commentare: “E' sempre un giorno triste, quando le urne vengono disertate”. Così come Piero Fassino, che oggi è impegnato con tutto il suo partito al conseguimento del quorum sulla fecondazione assistita, disse nel 2003 riguardo all'estensione dell'articolo 18 alle piccole imprese: “Il modo migliore di affrontare il referendum è quello di ridurre il danno che può comportare, e la strategia per farlo - concluse - passa attraverso la richiesta ai cittadini di non partecipare al voto”. 

Nemmeno i radicali si salvano dalla giostra dell'astensione. Anzi, per certi versi si deve proprio al leader referendario per antonomasia, e cioè a Marco Pannella, di aver scoperto e divulgato la possibilità di vincere un referendum invitando gli elettori a non parteciparvi. Insieme con Pierre Carniti e Claudio Martelli, Pannella ventilò per la prima volta questa opportunità nel 1980 sulla scala mobile. Poi Craxi volle affrontare la prova, e vinse anche. Ma l'idea, evidentemente, ebbe successo. Tanto più quando è destinata a sposarsi con la meteorologia (il mare, l'estate), l'abuso di referendum su argomenti molto diversi tra loro, la stanchezza dell'elettorato e la presenza di altre questioni drammatiche all'ordine del giorno (nel 1999, ad esempio, il Kosovo). 

Sulla perfetta regolarità della strategia astensionistica non ci sono questioni. Ma non per questo è mai andata esente da polemiche. Di norma chi percorre questa strada lo fa perché giudica il referendum “inutile”, “nocivo” e “costoso” mentre il boicottaggio è generalmente ritenuto una scelta “furba”, “sleale”, “vile”, “truffaldina” e perfino - secondo Mariotto Segni “delittuosa” Una volta, non  molto tempo fa, il presidente della Repubblica Ciampi ha esternato in proposito una linea che si può definire di buon senso: “E' ovvio che l'astensione è legittima, ma io ho votato per la prima volta a 26 anni, perché prima in Italia non era dato, e da allora l'ho sempre fatto perché considero il voto una conquista e un diritto da esercitare”. 

Era il 2000, e c'erano allora ben sette referendum in lizza. E siccome l'Italia è pur sempre l'Italia, Peppino Calderisi aveva inventato un rap anti-astensionista: “Il 21 maggio non ti far pregare/per i referendum vai a votare/chi ti chiede di andare al mare/il tuo voto vuole annullare/ e la democrazia diretta cancellare”. I versi non erano, francamente, irresistibili. Ma nemmeno lo era l'appello dell'allora leader verde Ripa di Meana a surrogare il voto con “una liberatoria scampagnata ecologista in bicicletta per ripulire prati e boschi dalle cartacce e dai rifiuti”. Tra questi due folclorici estremi l'Italia si lascio andare, negandosi il quorum. Ma era la natura stessa del referendum, ormai, che aveva fatto tilt.


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