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Lettere / Le radici cristiane dell’Europa e l’«Italia islamica»

• da Corriere della Sera del 8 settembre 2005, pag. 37

di Sergio Romano

Ho letto la sua risposta del 26 agosto al signor Lauro Gargiulo sul discorso di Marcello Pera al Meeting di Rimini. Credo che il suo corrispondente ne abbia bene interpretato il pensiero. Pera paventa il «meticciato culturale» perché potrebbe contaminare l'identità cristiana dell'Europa. Ricordando che gli ateniesi ricorrevano ai metechi quando ne avevano bisogno, lei fa presente che noi per molti aspetti, anche se per ragioni diverse, siamo nelle stesse condizioni. Ma c'è un aspetto che rende la condizione molto diversa. Allora i metechi ateniesi venivano in maggior parte dalla Grecia stessa e quindi con lingua, religione e cultura simili se non uguali, mentre i metechi attuali hanno lingua, religione e cultura ben diverse dalle nostre. Come dovremo comportarci quando fra 50 anni gli islamici in Europa saranno il 18,6% della popolazione? E quando fra 100 anni saranno la maggioranza? Come le ho già scritto, mi fanno più paura gli islamici moderati e ho paura non per me, ma per i miei figli e soprattutto per i miei nipoti.

Pasquale Rampazzo

 

Caro Rampazzo, la sua lunga lettera propone altri punti di discussione, ma il tema della identità cristiana dell’Europa mi è parso, soprattutto dopo il dibattito sulla costituzione europea e il discorso di Marcello Pera, quello che maggiormente la preoccupa e che può interessare i lettori. Le dirò subito, a scanso di equivoci, che l’insistenza con cui alcuni uomini politici hanno sposato le tesi della Chiesa cattolica sulle radici cristiane del continente mi è parsa fastidiosa e fuorviante. Tutti gli studiosi sanno che la Chiesa assunse per molti aspetti l’eredità dell’Impero romano e riuscì a preservare alcune delle sue istituzioni. Non vi sarebbe stato un Impero carolingio se il papa Leone III, nella notte di Natale dell’800, non avesse posato il diadema imperiale sulla testa di Carlo. Non vi sarebbe stato il regno di Francia se Clodoveo, re dei Franchi, non si fosse convertito al cattolicesimo. E non esisterebbero le nazioni dell’Europa settentrionale e orientale, se i missionari non avessero tracciato sul terreno, con le loro diocesi, i confini degli Stati futuri. Ma non vi è stata una sola generazione, nella lunga storia d’Europa, in cui l’identità originaria non sia stata modificata dai commerci, dalle guerre, dagli scambi umani e culturali con le popolazioni che vivevano al di là dei vecchi confini dell’Impero romano. Vi è poi un problema di «ortodossia». Se la cristianità è un valore europeo, chi è autorizzato a definirla, a proclamarla, a rilasciare brevetti di conformità? La Chiesa romana? I riformatori cristiani banditi dalla Chiesa? La Chiesa anglicana? I protestanti? Gli ortodossi? Le sette eretiche e scismatiche? Unita da una stessa fede, l’Europa è stata spesso sanguinosamente divisa dalle sue interpretazioni. Se la cristianità è un valore assoluto, come sostengono apparentemente i paladini delle «radici cristiane», dovremmo forse cancellare dalla storia d’Europa tutto ciò che è stato fatto contro la Chiesa o a dispetto della sua volontà? Vi sono stati momenti in cui il papato ha condannato i suoi critici, ha cercato di proibire la circolazione delle idee dei dissidenti, ha contrastato l’ascesa di nuovi gruppi sociali, ha trattato con grande diffidenza tutti i movimenti riformatori che hanno contribuito a definire il profilo dell’Europa moderna: la gloriosa rivoluzione inglese, la grande rivoluzione francese, l’alfabetizzazione, il suffragio universale, il voto alle donne. Gli storici conoscono le preoccupazioni della Chiesa e possono, ad esempio, comprendere con il distacco e l’equità dei posteri l’angoscia di Pio IX di fronte alla nascita dello Stato nazionale italiano. Ma imprigionare l’Europa in una casella denominata «radici cristiane» mi sembra sbagliato, se non addirittura pretestuoso. Lei si chiede con preoccupazione, alla fine della sua lettera, come sarà l’Italia di domani. Le risponderò che condividerei le sue preoccupazioni se non sapessi quante influenze esterne abbiano contribuito a modificare nel tempo l’identità della penisola. In un bel libro, qualche anno fa, Giuseppe Galasso sostenne che nella storia della penisola vi sono molte Italie. Fra queste vi è certamente anche una Italia islamica di cui la Sicilia ricorda i benefici e le virtù. Perché dovrei preoccuparmi se ve ne sarà un’altra in futuro?



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