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Da il "Messaggero veneto": La nostra salute le cifre sull’aborto

28 novembre 2005

• Messaggero Veneto

 

 
A seguire i dibattiti di queste settimane sulla legge 194 sembra che si sia scoperto un fatto senza precedenti: in Italia si abortisce in quanto la legge è stata male applicata nella sua integralità e gli attuali consultori familiari, anziché essere luogo di sostegno alla mamma in difficoltà, sono in larga parte meri dispensatori di certificati per l’aborto.
Cerchiamo di capire in ragione di cifre ufficiali. In Italia, qualsiasi donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari e dal 1978 questo intervento è regolato dalla legge 194, che sancisce le modalità del ricorso all’aborto volontario, per il quale l’intervento può essere effettuato presso le strutture pubbliche del Sistema sanitario nazionale e le strutture private convenzionate e autorizzate dalle Regioni.
Cosa ha prodotto in Italia e nella regione in termini d’aumento o di riduzione di aborti?
Estrapolando alcuni dati della relazione del ministero della salute presentata al Parlamento il 18 ottobre 2005 (dati preliminari 2004 e definitivi 2003) sull’attuazione della legge, si rileva che il valore assoluto di Ivg per il 2004 è pari a 136.715 interventi, con un incremento del 3,4% rispetto al 2003 (132.178 casi) e un decremento del 41,8% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all’Ivg (234.801 casi).
Il tasso di abortività (numero Ivg per 1.000 donne in età feconda, 15-49 anni), l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all’Ivg, ha registrato un incremento del 2,6% rispetto al 2003 e un decremento del 42,4%, rispetto al 1982, mentre il rapporto di abortività (numero Ivg per 1.000 nati vivi) ha fatto rilevare un incremento dell’1,8% rispetto al 2003 e un decremento del 34,4% rispetto al 1982.
Nel corso degli anni è andato crescendo il numero degli interventi effettuato da donne con cittadinanza estera, passate da quasi 9 mila nel 1995 a circa 32 mila del 2003, il che vale a dire che una donna su quattro che abortisce è extracomunitaria, con un aumento rispetto a 10 anni addietro di oltre il 200% e un tasso di abortività di tre volte maggiore rispetto alle donne italiane.
Trasferendo questi parametri alla nostra realtà regionale, il valore assoluto delle Ivg nel 2004 è pari a 2.405 interventi (+7,8% rispetto al 2003) con decremento superiore al 50% rispetto al 1982; il tasso di abortività ha subito un incremento di +7,6% rispetto al 2003, ma un sostanziale decremento rispetto al 1982 così come il rapporto di abortività è aumentato del 6% rispetto al precedente anno, ma sostanzialmente diminuito rispetto agli anni trascorsi, passando da 524,7 del 1982 a 240,5 del 2003.
Quanto alle donne extracomunitarie, nel 2003 sono state 555 le Ivg notificate a donne straniere (25,1% del totale) provenienti per lo più da Europa dell’Est, Africa, Sudamerica, Asia).
In regione, la certificazione è stata rilasciata dal servizio ostetrico-ginecologico (55,2%), dal medico di fiducia (23,5%), da un consultorio familiare (22 pubblici e 6 privati) nel 18,4% e solo nel 2,8% da altra struttura sanitaria, rilevando il carattere di urgenza solo in 126 donne mentre nelle 48 ragazze minorenni la certificazione alle Ivg è stata rilasciata dopo l’assenso dato dai genitori (74%) o dal giudice (22%). L’obiezione di coscienza nel servizio in cui si effettua l’Ivg è stata rappresentata dal 60% di ginecologi, dal 37% di anestesisti e dal 22% del personale non medico.
Nel complesso, in Italia e in regione il ricorso alle Ivg negli ultimi 20 anni si è ridotto di oltre il 40% (in regione del 53%) tra le italiane e sembrerebbe che gli obiettivi principali della legalizzazione dell’aborto siano stati raggiunti e ciò sta a significare che l’interruzione volontaria di gravidanza non è considerata come una scelta d’elezione (non si sarebbe verificata una riduzione dei tassi di abortività in quanto la legalizzazione avrebbe reso più facile e sicura la pratica abortiva), ma come un’ultima possibilità in seguito al fallimento o all’uso scorretto dei metodi di contraccezione o di un mancato supporto.
Quanto ai consultori familiari, va ricordato che passa solo un terzo delle donne che accedono all’interruzione di gravidanza (in regione il 18,4% del totale), per cui, quando sono accusati di non fare molto per la prevenzione, bisognerebbe avere più attenzione e leggere i dati, perché laddove è maggiore la loro presenza si è avuta una più rapida diminuzione del tasso di abortività per la maggiore diffusione di comportamenti più consapevoli nella gestione della sessualità.
Così come si dovrebbe fare attenzione a leggere le cifre perché c’è un 25,9% di donne che hanno abortito che sono immigrate extracomunitarie, estranee per forza di cose all’attività di prevenzione dell’aborto che è stata fatta in questi anni.
Certamente si può fare di più, provvedendo ad ampliare le possibilità di intervento dei consultori anche attraverso la presenza del volontariato cattolico e laico per difendere ulteriormente il diritto alla vita e la dignità di ogni persona umana dal suo concepimento, anche in ragione del fatto che la sola contraccezione non rappresenta l’unica forma di prevenzione contro l’aborto.
E non vi può essere alcuna persona, laica o cattolica , che non dia merito a quanti nel mondo del volontariato hanno aiutato a venire al mondo in silenzio oltre 75 mila bambini; parimenti non si può essere distratti nel pensare che la prevenzione dell’aborto passi anche per una migliore integrazione della popolazione femminile immigrata, per una corretta informazione sessuale nelle scuole per ridurre il fenomeno degli aborti in giovane età, per lo sviluppo di politiche preventive di formazione per le coppie e per la famiglia che consentono di accogliere e far vivere un figlio.

 



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