Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 26 apr. 2024
  cerca in archivio   RASSEGNA STAMPA
Caro Magdi le elezioni non fanno la democrazia, ma rifiutarne gli esiti (vediAlgeria) è disastroso

• da Il Foglio del 21 dicembre 2005, pag. II

di Carlo Panella

 Al direttore - Magdi Allam ha assunto, ieri sul Corriere della Sera, una posizione radicale e ha chiesto a George W. Bush di "sospendere l'esportazione della democrazia che, appiattendosi nel rito delle elezioni, ha portato al potere il nazi islamico Ahmadinejad in Iran e ha legittimato dentro il governo e il Parlamento l'hezbollah libanese che ha inaugurato il fenomeno del terrorismo suicida islamico. (.. .) Pensiamoci bene, prima che, grazie al responso delle urne, ci ritroviamo con un Osama bin Laden al potere in Arabia Saudita. Di questa democrazia moriremo tutti: arabi, musulmani e occidentali".

 

 Magdi Allam contrappone a questo percorso elettorale, che rischia di legittimare gruppi dirigenti dalle ideologie totalitarie (e assassine), un itinerario alternativo, basato sull'estensione dei diritti umani. Un ragionamento sviluppato da tempo, a partire proprio dall'elevata probabilità di un successo elettorale nel suo Egitto dei fratelli musulmani (che hanno appena apprezzato Ahmadinejad, aggiungendo che Israele "è un cancro"), come dalla possibilità reale che la Fratellanza — con Hamas — vinca le elezioni in Palestina, bloccando così il processo di pace.

 

 Magdi Allam ha ragione a prevedere questi esiti elettorali catastrofici. Ma ha torto nel pensare che vi sia un'alternativa. Questa tematica è molto presente nel dibattito dottrinale che attraversa da anni gli Stati Uniti dai tempi di Kennedy, tanto che la "Great Middle East Strategy" presentata da George W. Bush al G8 di Savannah, nel 2004, s'impernia innanzitutto sulla diffusione della parità di diritti della donna, dell’istruzione, dell'informazione, e non soltanto sull'indizione di elezioni democratiche (Magdi comunque sbaglia a citare quelle iraniane, che sono una farsa in salsa bulgara). Il problema è, però, che non esistono nei paesi musulmani forti leadership nè di governo nè di opposizione disposte a diffondere i diritti umani, neanche in cambio della garanzie di continuità dei loro regimi. Soltanto in Marocco — e in maniera declaratoria e non fattuale, in Yemen — il regime sta operando un'effettiva estensione dei diritti umani: nel gennaio 2005, re Mohammed VI ha imposto al Parlamento l'approvazione di un Codice di famiglia "Muddawana", che distrugge i capisaldi fondamentalisti di servitù della donna. Con coraggio senza precedenti, shakespeariano, il re ha poi aperto una formidabile stagione di trasparenza sui delitti del suo stesso padre, Re Hassan II. Li denuncia, con nomi e cognomi degli assassini, l'istanza di Equità e Riconciliazione, una commissione che tiene sedute trasmesse dalla televisione, in cui le vittime del regime denunciano i crimini, i soprusi e le torture subite. Un percorso virtuoso appoggiato e finanziato dagli Stati Uniti con forza. Ma in Algeria, il "laico" Bouteflika si rimangia l'impegno di modificare il Codice di famiglia islamista che il Fln adottò nel 1982: in Giordania lo stesso re Abdallah II ammette le difficoltà nel fare partire le riforme e, in Egitto, Mubarat fa catenaccio a tutto campo, per non parkare dell'Arabia Saudita e del Kuwait.

 

 Il problema è che la tetraggine e la fragilità politica delle élites arabe è tutt'uno con la fragilità politica del pensiero politico arabo (anche di quello delle opposizioni), in tutte le sue articolazioni. Questo è il punto drammatico, ancora più grave della protervia dei regimi.

 
La nascita di una fronda

 E’ quindi indispensabile che nei paesi arabi e islamici la cultura politica, il pensiero politico riprendano un cammino che è stato sospeso per settecento anni. Un cammino che inizia, appunto. con la riproposizione meccanica, brutale, del pensiero politico del Tredicesimo secolo di ibn Taymiyya, piattaforma che accomuna i Fratelli musulmani, i wahabiti sauditi e al Qaida (e, con altri referenti, i khomeinisti iraniani). E' indispensabile che questo processo di elaborazione politica nella modernità si compia, anche al prezzo di una fase di fondamentalismo benedetto dalle urne. Soltanto così potrà infatti crescere nelle società islamiche una fronda, potrà scattare la scintilla di quello "scisma luterano che invoca — in catene — l'ex fondamentalista iraniano Aghajari, simbolo appunto di questo processo evolutivo. Bisogna che la storia faccia il suo corso.

 

 Se la si interrompe, come fu fatto bloccando il processo elettorale nel 1992 in Algeria, si ottiene solo di appiattire i fondamentalisti moderati su quelli terroristi, si provocano guerre civili e soprattutto, alla fine, si perde. L'asfittica Algeria di oggi, con i suoi 400 morti di terrorismo l'anno, senza democrazie e senza diritti umani, ne è la prova. 



IN PRIMO PIANO







  stampa questa pagina invia questa pagina per mail