Lunedì 9 gennaio, dinnanzi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, una soave vocina ha detto: “Lo Stato d’Israele deve poter sussistere pacificamente in conformitĂ alle norme del diritto internazionale”. I diplomatici – si sa – sono di fibra algida: sghignazzare mantenendosi la panza, mai. Inoltre, pur essendo quasi tutti molto bravi in storia e in geografia, sanno trattenersi dal fare i pignoli quando ridulterebbe inopportuno: l’alveare è permaloso, l’ape regina non si tocca. Insomma, quando quella vocina soave ha speso quei due grammi di ovvietĂ in favore di Israele, lunedì 9 gennaio, nessuno dei presenti ha sghignazzato, nessuno ha detto: “SantitĂ , che ipocrisia!”, per dirla come l’avremmo detta noi. Che infatti diplomatici non saremo mai.
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“Per quanto riguarda il destino dei luoghi santi e in generale degli interessi cattolici in Palestina, il Vaticano avrebbe preferito che nĂ© gli ebrei nĂ© gli arabi, ma una terza forza esercitasse il controllo in Terra Santa; in ogni caso, sapeva bene che questa soluzione era irraggiungibile e, nelle presenti circostanze, preferiva gli arabi agli ebrei”, così scriveva, l’8 agosto 1949, il ministro plenipotenziario della Gran Bretagna presso la Santa Sede, John Victor Perowne. Era stata della primavera del 1947 la decisione britannica di rimettere il mandato in Palestina; la cosa aveva messo il Vaticano in grande difficoltĂ . Quando se n’era ventilata l’ipotesi, nel 1945, monsignor Thomas McMahon, massimo responsabile della politica vaticana in Medio Oriente, aveva scritto: “La Palestina è internazionale. Un governo internazionale della Palestina [il riferimento, oltre nel testo, era alle Nazioni Unite] è la soluzione migliore fra tutte, perchĂ© tutela il carattere sacro della terra natale di Cristo”. Fin lì, il controllo britannico della regione aveva dato ottime garanzie alla Santa Sede che pure non aveva mancato di esprimere qualche timore, quando la cosa era ancora in discussione presso la SocietĂ delle Nazioni nel 1922, per voce del suo Segretario di Stato, cardinal Pietro Gasparri, ancora una volta sulla possibilitĂ che la posizione ebraica risultasse privilegiata. Poi, le cose s’erano messe per il meglio, e per nessuna delle tre confessioni – cattolica, musulmana ed ebraica – c’era stato di che lamentarsi troppo, almeno non ufficialmente. Per la Santa Sede l’opzione dell’internazionalizzazione della Palestina poteva essere messa da parte, per essere tirata fuori un quarto di secolo dopo. A opporsi decisamente, allora, furono musulmani ed ebrei e non se ne fece nulla.
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Come sempre fa, quando non può far sentire la sua voce con la forza che vorrebbe, il Vaticano tacque, si ritirò dai maneggi e lasciò fare, limitandosi a dichiararsi “del tutto indifferenti alla forma di regime che la vostra stimata Commissione [delle Nazioni Unite] potrĂ proporre, purchĂ© nelle vostre proposte conclusive vengano presi in considerazione e tutelati gli interessi della ComunitĂ cattolica, protestante e ortodossa”. Andava prendendo corpo, però, qualcosa che la Santa Sede temeva piĂą d’ogni altra, e che non si aveva idea di come si potesse ostacolare: la nascita dello Stato di Israele. Sir Alan Cunningham, l’ultimo dei commissari britannici in Palestina, scrisse nel 1947: “La cosa peggiore, dal punto di vista cattolico, è che Gerusalemme finisca sotto il controllo ebraico”. Qualche odierno residuo di screzio tra lo Stato della CittĂ del Vaticano e lo Stato di Israele viene dalla storia certamente, poi chissĂ se pure dalla teologia. In ogni caso, fino a tutto il 1948, ogni voce vaticana si astenne scrupolosamente dal seppur minimo cenno alla Palestina, cercando di far garante il governo degli Stati Uniti, presso il quale si spese il cardinal Francis Spellman: “Se in ogni caso la spartizione sarĂ imposta – aveva scritto a George Wadsworth, ambasciatore Usa in Iraq – non bisogna perdere l’occasione di fissare un sistema accuratamente concepito e dettagliato di garanzie e tutele per i luoghi santi e per le minoranze cristiane”. Ma quando il 14 maggio 1948 nasce lo Stato di Israele, l’Osservatore Romano rompe il silenzio e palesa, con amarezza, quello che avrebbe voluto realmente in Palestina: “Il sionismo moderno non è il vero erede dell’Israele biblico ma uno stato laico […] La Terra Santa e i suoi luoghi santi appartengono al Cristianesimo, il Vero Israele”.