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Calciatore ucciso dalla mafia. Era un teste nel caso Fortugno

• da La Repubblica del 21 marzo 2006, pag. 1

di Attilio Bolzoni

C'è un testimone di meno in Calabria. L'hanno ammazzato per chiudergli la bocca, all'ultimo momento. Sapeva qualcosa sul delitto eccellente di Locri, quello del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno. I carabinieri l'avevano convocato in caserma per ieri mattina alle 9, i killer della 'ndrangheta hanno fatto appena in tempo. È scivolato nella tomba con i suoi segreti Enzo, imbianchino di mestiere e calciatore per passione ucciso come si fa con i boss sulla statale che da Reggio risale verso il mar Jonio.

La mafia calabrese non dà scampo a chi parla o a chi solo potrebbe farlo. E così è finita l'altra notte la storia di un "bravo ragazzo" del paese di Bianco che si sarebbe dovuto presentare per un interrogatorio al reparto operativo dei carabinieri, il primo della sua vita. Gli investigatori volevano informazioni da Enzo Cotroneo su quattro o cinque personaggi che gli giravano intorno, soprattutto volevano scoprire se lui conosceva alcuni nomi. E non di mafiosi qualunque, volevano scoprire se lui conosceva i nomi di quelli che un'estate fa avevano sparato sulla saracinesca del circolo sportivo che Vincenzo gestiva insieme al padre in un vicolo di Bianco, un buco pieno di biliardi e videogiochi. Un avvertimento molto speciale, l'arma usata era una calibro 9 x 21, molto probabilmente la stessa che il 16 ottobre successivo ha ucciso Francesco Fortugno nel seggio dove si votava per le primarie dell'Unione.

L'"invito a comparire" Enzo l'aveva ricevuto qualche giorno fa dai carabinieri del suo paese, ieri mattina era atteso alle 9 in punto da un ufficiale che indaga sui 21 omicidi dell'ultimo anno nella Locride e sull'agguato al vicepresidente della giunta regionale.

 

Era un interrogatorio delicato, scivoloso. Non aveva precedenti penali Enzo, una vita apparentemente tranquilla come tranquilla lo può essere in quei paesi come Bianco dove tutti conoscono tutti, dove sbiaditi sono certi confini, dove la relazione pericolosa a volte è anche spaventosa normalità, è assuefazione. Fedina pulita quella di Enzo, ventotto anni, una fidanzata che avrebbe dovuto sposare a fine primavera e tanta voglia di giocare al pallone.

Era attaccante del Locri, campionato regionale di Promozione, suo fratello Angelo è stato portiere nell'Africo, suo padre Giuseppe fino a qualche anno fa era presidente del Bianco. Un "bravo ragazzo" che ha fatto la fine di un mammasantissima. Un agguato di quelli che si riservano solo agli uomini di rispetto. Pistole e un fucile caricato a pallettoni, almeno tre i killer.

L'appostamento in contrada Reale, a poca distanza dalla casa di Enzo. Lo stavano aspettando a mezzanotte. Lui era sulla sua Golf che correva, l'hanno affiancato su un'altra auto, l'hanno preso al volo.
L'omicidio di Enzo Cotroneo ha agitato tanto gli apparati investigativi e giudiziari di Reggio, quelli che da mesi inseguono mandanti e autori materiali del delitto più clamoroso mai avvenuto in Calabria, l'uccisione dell'uomo politico della Margherita Francesco Fortugno. Un'esecuzione a urne aperte che ha destabilizzato gli assetti "politici" della 'ndrangheta calabrese.

Per il momento c'è il top secret assoluto sui collegamenti tra la morte del testimone fatto fuori nove ore prima della sua deposizione e il delitto eccellente, si aspettano gli esiti degli ultimi accertamenti balistici sui proiettili calibro 9 x 21, comunque è ormai quasi certo che la stessa pistola abbia sparato sia sulla saracinesca del circolo ricreativo di Bianco che per cinque volte sul corpo del vicepresidente del consiglio regionale calabrese.

Ne sapremo di più nelle prossime ore e nei prossimi giorni, alla fine di attività investigative che stanno cercando di ricostruire i nuovi equilibri della mafia della Locride, gli obiettivi dei nuovi boss di questa zona, i loro intrecci con i gruppi tirrenici della 'ndrangheta e soprattutto con i ras della politica.
È un impasto quello calabrese, boss e notabili tutti insieme per dettare legge in una cosca o in un consiglio comunale e anche a Catanzaro. Un anno fa il governatore Agazio Loiero aveva ricevuto anche lui le sue pallottole. Stava cambiando, stava rinnovando la politica e le regole di quel santuario del potere mafioso che era la Regione e gli hanno mandato il "segnale".

Poi è toccato a Francesco Fortugno. È terra senza legge la Calabria per vent'anni abbandonata, lontana dai riflettori dei media, governata da signorotti locali con buoni agganci in alto, servizi segreti e logge segrete, un "sistema criminale" che fa soldi e che fa morti.

Come Francesco Fortugno. E come tanti altri. Solo nella Locride ce n'erano stati più di venti prima di lui, colpevoli presi neanche uno.

Soltanto dopo il delitto eccellente del 16 ottobre 2005 l'Italia si è accorta di che cosa era l'inferno di queste province, di questi paesi incastrati tra il mare e le montagne. Sono arrivati centinaia di poliziotti, sono sbarcati gli investigatori dei reparti d'eccellenza, hanno nominato Luigi De Sena superprefetto.

E in pochi mesi si sono cominciati a scoprire i primi omicidi, fino ad allora misteriosi, indecifrabili. Anche nella Locride.

Quattro sicari catturati a metà novembre dalla squadra mobile di Reggio, altri sette presi dalla polizia alla vigilia di Natale, due latitanti arrestati dai carabinieri e altri due dai poliziotti di Siderno. Gente dei Cordì, gente dei Cataldo, uomini della cosca dei D'Agostino. I soliti ignoti.



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