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Il cardinal Martini e la "resa alla modernità"

1 maggio 2006

di Luigi Castaldi

Sull’ultimo numero de L’espresso (n. 17, anno LII), Sandro Magister scrive: “Su un Vaticano assuefatto alla nitida predicazione di Joseph Ratzinger papa, con la verità delle cose celesti e terrene ogni volta scolpita a martello, le dieci pagine di dubbi, di ipotesi, di ‘zone grigie’ del cardinale Carlo Maria Martini, nel dialogo con Ignazio Marino su ‘L’espresso’ della scorsa settimana, sono calate nel solo modo possibile: come se si trattasse del manifesto dell’antipapa. Contro il papa attuale. E anche contro il predecessore Giovanni Paolo II, che aveva incardinato il suo battagliero ‘evangelium vitae’ proprio sui temi della bioetica, del nascere e del morire, oggetto dell’intervento del cardinale Martini”. Su uno dei temi di quell’intervento – forse il più sensibile – non è tardato il richiamo ufficiale di uno dei più zelanti curatori della linea di Wojtyla, prima, e di Ratzinger, ora: monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Sandro Magister informa: “Sgreccia ha […] ricordato al cardinale Martini che ‘la sua teoria’ sull’ovocita fecondato ‘non è condivisa da molti embriologi’. E in effetti il Comitato Nazionale per la Bioetica che in Italia si occupa di queste cose, quando nel 2005 affrontò la questione, si divise in 26 contro 12. Con la maggioranza c’erano Sgreccia e altri studiosi cattolici e laici, tutti a favore dell'intangibilità dal primissimo istante dell'ovulo fecondato. Con la minoranza c’era Carlo Flamigni, che volle aggiungere al documento finale una sua nota molto polemica con la Chiesa. La posizione di questa minoranza è quella che sia il cardinale Martini sia il professor Marino hanno fatto propria nel loro dialogo”. Annotiamo a parte il fatto che, quando ai voti passa la verità che è loro gradita, le gerarchie vaticane ritirano lo slogan “sulla vita non si vota”; anzi, esigono che passi la verità di quella che, quando sono in minoranza, chiamano “dittatura della maggioranza”. Passi, dunque, per monsignor Sgreccia, il quale aveva una questione personale aperta sul punto e aveva il comprensibile puntiglio di rinfacciare al cardinal Martini che la tesi sulla quale aveva dato un mezzo placet, quella illustratagli dal professor Marino, fosse tesi già confutata da una ratio (quella  del Comitato Nazionale per la Bioetica) perfettamente sposata alla fides (quella dell’Evangelium Vitae). Non si capisce, invece, la batteria di copertura davvero fuori mira: per esempio, quella Lucetta Scaraffia, editorialista dell’Avvenire, che, come Sandro Magister riporta nel suo articolo, “imputa a Martini di affrontare problemi di vita e di morte centrali nella cultura del nostro tempo «con quel modo di ragionare riduzionista e casuistico che ha rappresentato lo stereotipo negativo dei gesuiti fin dai tempi di Pascal»”. Tentare di far passare un gesuita – il cardinal Martini – per “stereotipo negativo dei gesuiti”: siamo ben oltre lo zelo.

 

Il “punto”, dicevo. La questione era stata posta dal professor Marino al cardinal Martini in questo modo: Esistono delle tecniche più sofisticate di quelle utilizzate oggi, che prevedono il congelamento non dell’embrione ma dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo Dna […] Non c’è l’embrione, non c’è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c’è un nuovo individuo. Dal punto di vista biologico non c’è una nuova vita. Possiamo allora pensare che essa non ci sia nemmeno dal punto di vista spirituale e quindi che non esistano problemi nel valutare l’idea di seguire questa strada anche da parte di chi ha una fede?” (L’espresso, n. 17, anno LII). “Con quel modo di ragionare riduzionista e casuistico che ha rappresentato lo stereotipo negativo dei gesuiti fin dai tempi di Pascal” (a dirla come la dice Lucetta Scaraffia), il cardinal Martini s’era azzardato a ipotizzare: “Nella proposta che lei illustra tale problema potrebbe trovare un superamento” (ibidem). Manco sapesse che l’enciclica Evangelium Vitae, invece, recita: “La disciplina canonica della Chiesa, fin dai primi secoli, ha colpito con sanzioni penali coloro che si macchiavano della colpa dell’aborto e tale prassi, con pene più o meno gravi, è stata confermata nei vari periodi storici. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 comminava per l’aborto la pena della scomunica. Anche la rinnovata legislazione canonica si pone in questa linea quando sancisce che «chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae», cioè automatica. […] La valutazione morale dell’aborto è da applicare anche alle recenti forme di intervento sugli embrioni umani che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne comportano inevitabilmente l’uccisione. E’ il caso della sperimentazione sugli embrioni, in crescente espansione nel campo della ricerca biomedica e legalmente ammessa in alcuni Stati. […] L’uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e ad ogni persona”. Così l’enciclica. Già, ma quando ha origine la persona? Quando i due patrimoni genetici (quelli nei gameti materno e paterno) sono stati fatti uno, in quella “individualità genetica unica e irripetibile” che per  Wojtyla era il minimum di persona (Osoba i czin, 1969). Ora, il Comitato Nazionale per la Bioetica arriva a dire che la persona è addirittura antecedente: anche quando il Dna dei due gameti è ancora distinto. Solo un passetto ancora più indietro, e si arrivava ad individuare, metà nel testicolo e metà nell’ovaio, l’unum.

 

Se la persona è un’“individualità genetica unica e irripetibile”, com’è possibile vederla una in due distinti pronuclei? Siamo alle solite: la ratio deve cedere per l’ennesima volta alla fides. Se la fides afferma che la persona (= l’“individualità genetica unica e irripetibile”) si ha nell’istante in cui lo spermatozoo penetra nell’ovocellula, ma la ratio fa presente che questa “individualità” c’è solo 13-15 ore dopo, la ratio deve farsene una ragione: questa “individualità” c’è già 13-15 ore prima che ci sia. Come si può smentire la fides sul dato della istantaneità della fecondazione, che le è tanto caro, con il dato della ratio che le indica chiaramente che la fecondazione non sia affatto un evento istantaneo? Non si può: la persona deve avere origine nell’istante in cui lo spermatozoo penetra nell’ovocellula, così piaceva a Wojtyla e così piace a Ratzinger. La ratio provveda ad estendere il concetto di “individualità unica e irripetibile” dal genoma al citoplasma, veda lei come, non ha importanza il come, l’importante è che si adegui a ciò che piaceva a Wojtyla ed oggi piace a Ratzinger: due pronuclei sono già un nucleo, se stanno nello stesso citoplasma. Si trovino 26 membri di un Comitato Nazionale per la Bioetica che, su un totale di 38, siano disposti a sottoscrivere il paradosso (si provveda in via preliminare a tener fuori ogni Luca Coscioni): e il vescovo (Sgreccia) potrà riprendere il cardinale (Martini). Potrà riprenderlo perfino Lucetta Scaraffia, editorialista dell’Avvenire; potrà riprenderlo – e questa è gustosa assai – anche Paolo Sorbi, sociologo, ex attivista del Sessantotto, ex militante del partito comunista e oggi presidente del Movimento per la Vita a Milano, l’arcidiocesi che fu di Martini” – informa Sandro Magister. Il Sorbi “vede nel dialogo pubblicato su ‘L'espresso’ il segno di «una resa alla modernità, come se questa avesse già vinto»”. Un dato di evidenza scientifica è, in sé, “una resa alla modernità”? Di questo è colpevole il cardinal Martini? Di aver preso atto di un dato di evidenza? Non doveva farlo? Non doveva farlo, perché certi dati di evidenza sono “una resa alla modernità”. E, a chiudere ogni spiraglio alla ratio, Paolo Sorbi chiede: “Ma come pensa il cardinale che siano stati battuti i referendum?”. Domanda retorica, evidentemente: sono stati battuti contro l’evidenza, imputandole il peccato di “modernità”. “Ex attivista del Sessantotto, ex militante del partito comunista”, poi ha cambiato fides.



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