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sab 20 apr. 2024
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Esposto presentato dalla Rosa nel Pugno: parere pro-veritate dei Proff. Guzzetta e Marini

Prof. Avv. Dr. Giovanni Guzzetta

Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico

Università di Roma “Tor Vergata”

Patrocinatore in Cassazione

 

Prof. Avv. Francesco Saverio Marini

Straordinario di Istituzioni di diritto pubblico Università di Roma “Tor Vergata” Patrocinatore in Cassazione

 

 

PARERE PRO VERITATE

 

Ci è stato richiesto un parere pro veritate sui seguenti quesiti:

 

Quesito n. 1

 

“Se, ai sensi della vigente disciplina in tema di elezioni del Senato della Repubblica (DPR n. 533/1993 così come modificato a seguito della 1. n. 270/2005), nel caso di una coalizione di liste che, su base regionale, abbia ottenuto la maggioranza dei voti, ma non il 55 % dei seggi, si applichi, nel ripartire i seggi tra le liste collegate alla coalizione, una soglia di sbarramento (e segnatamente del 3 %), così da precludere alle liste che abbiano ottenuto un consenso regionale inferiore a tale soglia di concorrere al riparto degli stessi”.

 

Quesito n. 2

 

“In caso di risposta negativa al quesito n. 1, quali siano i rimedi previsti dall’ordinamento costituzionale avverso l’eventuale esclusione di una tale lista recante, peraltro, il medesimo contrassegno di altra che, in occasione delle medesime elezioni, ha espresso una rappresentanza nella Camera dei Deputati”.

 

SUL QUESITO N. 1

 

1. Premessa: il quadro normativo

La vigente disciplina in tema di elezioni del Senato della Repubblica è contenuta del DPR n. 533/1993 così come modificato, di recente, dalla 1. n. 270/2005. In base all’art. 1, comma 2, di tale decreto legislativo

“l’assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti è effettuata in ragione proporzionale, con l’eventuale attribuzione del premio di coalizione regionale”.

Per la concreta applicazione di tale principio e la conseguente assegnazione dei seggi su base regionale (art. 57 Cost.), ciascun Ufficio elettorale regionale segue un procedimento sintetizzabile nei seguenti passaggi:

I. Calcolo delle cifre elettorali circoscrizionali di liste e coalizioni di liste;

 

Il. Individuazione delle liste ammesse al riparto dei seggi;

III. Prima attribuzione provvisoria dei seggi;

IV. Verifica se una lista o coalizione abbia raggiunto il 55 per cento dei seggi;

V.i. Assegnazione definitiva dei seggi nell’ipotesi che una lista o coalizione abbia raggiunto il 55 per cento dei seggi;

V.ii. assegnazione definitiva dei seggi nell’ipotesi che una lista o coalizione non abbia raggiunto il 55 per cento dei seggi.

In particolare:

 

I. CALCOLO DELLE CIFRE ELETTORALI CIRCOSCRIZIONALI DI LISTE E COALIZIONI DI LISTE (art. 16, comma 1, lett. a)):

A tal fine l’Ufficio elettorale regionale:

“a) determina la cifra elettorale circoscrizionale di ogni lista. Tale cifra è data dalla somma dei voti conseguiti dalla lista stessa nelle singole sezioni elettorali della circoscrizione. Determina inoltre la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste, data dalla somma delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono”.

 

II. INDIVIDUAZIONE DELLE COALIZIONI E SINGOLE LISTE AMMESSE AL RIPARTO DEI SEGGI (art. 16, comma 1, lett. b), nn. 1 e 2):

Si tratta delle:

“1) coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi”

“2) singole liste non collegate che abbiano conseguito sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi nonché le liste che, pur appartenendo a coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui al numero 1), abbiano conseguito sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi”.

 

III. PRIMA ATTRIBUZIONE PROVVISORIA DEI SEGGI (art. 17, comma 1):

In proposito, la legge prevede che:

 

“L’ufficio elettorale regionale procede ad una prima attribuzione provvisoria dei seggi tra le coalizioni di liste e le liste di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b,), in base alla cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna di esse”.

L’attribuzione è poi operata mediante il c.d. “metodo del quoziente intero e dei più alti resti”.

 

IV. VERIFICA SE UNA LISTA O COALIZIONE ABBIA RAGGIUNTO IL 55 PER CENTO DEI SEGGI (art. 17, comma 2):

“2. L’ufficio elettorale regionale verifica quindi se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell’ambito della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore”.

 

V.i. ASSEGNAZIONE DEFINITIVA DEI SEGGI NELL’IPOTESI CHE UNA LISTA O COALIZIONE ABBIA RAGGIUNTO IL 55 PER CENTO DEI SEGGI (art. 17, comma 3):

In tale caso, non vi è assegnazione del premio di maggioranza. L’assegnazione dei seggi è operata in base alla prima attribuzione provvisoria, di cui si è parlato al punto III (art. 17, comma 1).

Solo per ciò che riguarda l’assegnazione dei seggi all’interno della coalizione il legislatore introduce una “rimodulazione” fondata su di una specifica soglia di sbarramento per le singole liste nella coalizione:

“L’ufficio elettorale regionale individua, nell’ambito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi”.

In tale ipotesi non si fa invece alcuna menzione dell’assegnazione dei seggi alle liste singole (non coalizzate) perché per esse vale l’attribuzione provvisoria dei seggi.

 

V.i. ASSEGNAZIONE DEFINITIVA DEI SEGGI NELL’IPOTESI CHE UNA LISTA O COALIZIONE NON ABBIA RAGGIUNTO IL 55 PER CENTO DEI SEGGI (art. 17, commi 4-6)

In tale caso viene attribuito un premio di maggioranza con conseguente rimodulazione dell’assegnazione dei seggi alla singola lista o coalizione di liste di maggioranza (beneficiaria del premio in seggi) ed a quelle di minoranza (i cui seggi vengono conseguentemente ridotti per la quota destinata a comporre il premio di maggioranza).

In particolare “l’ufficio elettorale regionale assegna alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore”. “5. I restanti seggi sono ripartiti tra le altre coalizioni di liste o singole liste”.

Tali seggi restanti sono attribuiti tra le liste e le coalizioni di minoranza in base al “metodo del quoziente intero e dei più alti resti”.

Per quanto riguarda l’assegnazione dei seggi nelle coalizioni:

6. (...) A tale fine [l’ufficio elettorale regionale], per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), per il numero dei seggi ad essa spettanti. Si procede poi applicando gli ulteriori passaggi in cui si articola il “metodo del quoziente intero e dei più alti resti”.

 

2. L’ “architettura” del sistema elettorale del Senato

 

Sulla base di queste premesse è evidente che il sistema elettorale del Senato si articola intorno alle seguenti scelte fondamentali. Con riferimento alla modalità di trasformazione dei voti in seggi, il criterio cardine è costituito, come desumibile dall’art. 1, comma 2, dal principio proporzionale. Nella sua forma pura, tale principio prevede, com’è noto, che il sistema elettorale debba realizzare la massima corrispondenza tra composizione della rappresentanza e distribuzione delle preferenze elettorali dei rappresentati, assegnando i seggi in misura percentualmente fedele ai voti ottenuti dai vari raggruppamenti politici.

            Accanto all’enunciazione del principio proporzionale, la disciplina di cui al DPR in oggetto prevede vari correttivi. Il primo, è previsto, in via generale, dall’art. 16, comma 1, lett. b), nn. I e 2, il quale stabilisce una soglia di sbarramento, distinta per singole liste e coalizioni, il superamento della quale costituisce la condizione per l’accesso alla distribuzione dei seggi (“le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi”).

Il secondo correttivo, enunziato dallo stesso art. 1, comma 2, consiste nell’attribuzione di un premio di maggioranza alla lista o coalizione che abbia ottenuto il maggior numero dei voti, ma che, in base alla pura attribuzione proporzionale, non abbia ottenuto il 55 % dei seggi assegnati alla Regione.

 

Vi è poi un terzo correttivo, prescritto espressamente solo per l’ipotesi in cui una coalizione ottenga, senza necessità del premio, un numero di seggi pari o superiore al 55 %. In tal caso, per la distribuzione dei seggi all’interno delle liste della coalizione, la normativa prevede che ottengano seggi solo le liste che superino il 3% dei voti validi. Si tratta, dunque, di una seconda e specifica soglia di sbarramento, ulteriore rispetto a quella generale, già menzionata.

 

 

3. Risposta al I Quesito. Esclusione della soglia di sbarramento infracoalizionale del 3 % nel caso di attribuzione del premio di maggioranza.

 

Alla luce di quanto premesso, il primo quesito che ci è stato formulato attiene all’interpretazione della fattispecie di cui all’art. 17, commi 4-6 del DPR. (caso di cui al punto V.i. del § 1: assegnazione definitiva dei seggi nell’ipotesi che una lista o coalizione non abbia raggiunto il 55 per cento dei seggi). In particolare esso riguarda il problema dell’assegnazione dei seggi nella coalizione che non abbia ottenuto il 55 per cento dei seggi ed i requisiti per la partecipazione delle liste all’assegnazione di tali seggi.

A questo proposito il menzionato comma 6 dell’art. 17 individua un unico criterio per identificare le liste meritevoli di partecipare alla distribuzioni dei seggi all’interno della coalizione. Esso afferma, infatti, che possano accedere al riparto dei seggi tutte le “liste ammesse al riparto ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1)”.

Tale disposizione è, come detto, quella che stabilisce la soglia di sbarramento generale come condizione per l’accesso alla distribuzione dei seggi (“le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi”).

Dal combinato disposto delle due menzionate disposizioni è di assoluta evidenza che non è richiesto il requisito di un consenso pari al 3% dei voti validi espressi perché una lista appartenente alla coalizione beneficiaria del premio possa partecipare alla distribuzione dei seggi. E’ invece sufficiente che la coalizione di appartenenza abbia ottenuto il 20% ed al suo interno vi sia anche solo una lista che abbia ottenuto il 3 %, perché tutte le liste collegate, indipendente dal proprio consenso percentuale abbiano diritto di partecipare al riparto dei seggi.

Su tale conclusione convergono tutti gli abituali canoni dell’ermeneutica giuridica.

Per ciò che riguarda l’interpretazione letterale, non pare esservi dubbio che il riferimento alle “liste ammesse” ai sensi dell’art. 16, comma 1, lettera b), numero 1 ha esattamente il significato di “ammettere” al riparto anche liste che abbiano ottenuto un consenso inferiore al 3%  purché esse siano collegate in coalizione almeno ad una lista, che quel 3% abbia conseguito. Equivarrebbe viceversa ad un’interpretazione esattamente opposta, e dunque contra litteram, quella che — malgrado la disposizione dell’art. 16, comma 1, lett. b), num. 1, consideri sufficiente il raggiungimento del 3% da parte di una sola lista della coalizione — richieda invece che tutte le liste della coalizione abbiano raggiunto quel traguardo.

Né è di ostacolo l’apparente ambiguità consistente nel fatto che il soggetto grammaticale dell’art. 17, comma 6, sono le “liste ammesse” e quello del comma 1, lettera b), numero 1 dell’art. 16 sono le “coalizioni di liste”. Com’è, infatti, evidente nell’impianto legislativo le “coalizioni” non sono altro che “aggregazioni di liste”, raggruppamenti strumentalmente rivolti a consentire il collegamento tra liste proprio al fine che queste siano più facilmente “ammesse” al riparto dei seggi ed al raggiungimento della maggioranza necessaria per l’ottenimento del premio. Trattando di “liste ammesse”, dunque, l’art. 17, comma 6, non fa altro che utilizzare un’espressione ellittica e sintetica al posto della più farraginosa e cacofonica perifrasi “liste ammesse [per il tramite della coalizione ammessa] ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. b) n. 1”.

D’altra parte a fugare ogni incertezza di ordine testuale vi è l’inciso

— con funzione semanticamente esplicativa — che subito segue il riferimento alle “liste ammesse” di cui all’art. 17, comma 6 (“liste ammesse ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1)”). E non può esservi dubbio che, proprio sul piano letterale, l’espressione “ai sensi” sia volta ad imporre ex lego all’interprete una precisa interpretazione in ordine al “senso” in cui la formula “liste ammesse” è utilizzato.

Quanto poi all’interpretazione di ordine logico-sistematico non possono esservi dubbi che la soluzione prospettata si colloca pianamente nel “sistema” regolativo previsto dalla disciplina in oggetto e costituisce svolgimento dei principi che ne sono alla base.

Come ricordato, è, infatti, l’art. 1, comma 2, di tale decreto legislativo a stabilire che “l’assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti è effettuata in ragione proporzionale, con l’eventuale attribuzione del premio di coalizione regionale”. Basterebbe tale disposizione, collocata all’esordio dell’atto normativo di cui si discorre, a far comprendere come ogni specifica previsione normativa che alteri il contenuto tipico del principio di assegnazione puramente proporzionale dei seggi, costituisce una eccezione alla disposizione che lo stabilisce in via generale (cfr. supra par. 2).

Né merita soffermarsi sul fatto — assolutamente pacifico in dottrina e giurisprudenza - che proprio in base ai canoni dell’interpretazione sistematica le norme derogatorie si devono ritenere sottoposte ad una stretta interpretazione e non sono suscettibili di estensione analogica (art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale, R.d. 16 marzo 1942 n. 262).

Ora, considerando la fattispecie in esame, è di tutta evidenza che, al fine di giungere all’opposta e criticabile conclusione secondo cui, per accedere al riparto dei seggi, tutte le liste di cui al quesito in oggetto debbano aver superato una soglia del 3 % sarebbe necessario estendere analogicamente a tale ipotesi 1’isolata ed eccezionale previsione stabilita per il diverso caso della ripartizione dei seggi nell’ipotesi in cui non sia “scattato” il premio di maggioranza (il terzo correttivo al principio proporzionale puro di cui si è parlato al par. 2).

Il che non è ammissibile.

Anche sui piano dell’interpretazione teleologica, infine, la conclusione qui prospettata non presenta inconvenienti di sorta. Essa si iscrive, anzi, in una cornice ermeneutica logicamente appagante e dotata di una sua plausibilità.

L’aver previsto, infatti, una soglia di sbarramento del 3 % per tutte le liste coalizzate quando il riparto proporzionale dei seggi sia in grado di assicurare “naturalmente” una maggioranza del 55% dei seggi non contraddice in alcun modo la scelta di omettere l’applicazione di tale soglia nella diversa fattispecie in cui invece quel 55 % dei seggi non sia stato raggiunto e si attribuisca pertanto un premio di maggioranza.

Si tratta infatti di due situazioni oggettivamente differenti, per le quali dunque non è ipotizzabile una contraddizione per irragionevole disparità di trattamento di situazioni simili.

E’ anzi ragionevole ritenere che il legislatore, pur volendo perseguire l’obiettivo di assicurare stabilità e coesione alla rappresentanza, non abbia ritenuto opportuno eccedere con interventi di tipo distorsivo del principio proporzionale e che là dove abbia previsto l’applicazione del premio di maggioranza, con i conseguenti effetti di decurtazione di seggi spettanti alle minoranze, non abbia voluto alterare ulteriormente i risultati imponendo una soglia di sbarramento aggiuntiva.

Così, appare del tutto giustificabile, e pertanto rientrante nella discrezionalità politica del legislatore, la scelta — ispirata sempre al rispetto del principio fondamentalmente proporzionale e ad una “limitata” correzione di esso — di non eccedere con una pluralità di interventi distorsivi e di articolare in termini alternativi l’inserimento di una soglia di sbarramento interna alla coalizione rispetto all’attribuzione di un premio di maggioranza. Correttivi alternativi che — non va dimenticato — si aggiungono comunque alla previsione generale di una soglia di sbarramento gravante in ogni caso sulle coalizioni ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. b), n. 1.

 

SUL QUESITO N. 2

 

4. Gli strumenti di tutela espressamente previsti nell’ordinamento costituzionale italiano.

La disciplina delle forme di tutela avverso i vizi del procedimento elettorale è, com’è noto, fondata sulla previsione di cui all’art. 66 Cost., in base al quale, “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.

Ciò implica che, prima della proclamazione da parte dell’Ufficio elettorale regionale, è possibile, per gli interessati, avanzare delle semplici contestazioni (ai sensi dell’art. 76 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al DPR n. 361/1957, così come richiamato dall’art. 16 del DPR 533/1993) sulle quali decide in via definitiva lo stesso ufficio elettorale.

Successivamente a tale proclamazione la sede per la contestazione dei vizi del procedimento elettorale è la giunta per le elezioni del Senato della Repubblica, secondo quanto previsto dall’art. 19 del Regolamento del Senato e del Regolamento per la verifica dei poteri ivi previsto (Del.Senato 23-1-1992 pubbl. in Gazz. Uff. 31 gennaio 1992, n. 25).

 

5. Segue: La praticabilità di ulteriori strumenti di tutela. L’ipotesi di un conflitto di attribuzioni avverso il Senato della Repubblica.

 

L’espressa riserva di una competenza parlamentare in tema di verifica dei titoli di ammissione potrebbe far ritenere che il giudizio di convalida operato dalla Camera di appartenenza dell’eletto sia insindacabile in qualsiasi altra sede. Malgrado la questione sia tralaticiamente considerata pacifica, non sussistono espresse pronunzie da parte della Corte costituzionale che escludano del tutto ogni contraria interpretazione. Quest’ultima, infatti, pur riconoscendo (a differenza di quanto accade ad esempio per i consigli regionali: cfr. C. Cost., sent. n. 115/1972 e n. 29/2003) il difetto di giurisdizione dei giudici comuni in materia di verifica dei poteri, non ha mai espressamente escluso la propria competenza.

Pur con la problematicità di una simile indagine, si ritiene sussistano validi argomenti per sostenere l’ammissibilità di un controllo costituzionale sull’esercizio dei poteri parlamentari in ordine alla convalida delle elezioni anche in sede di conflitto di attribuzioni.

Innanzitutto, si deve considerare la particolare collocazione nel sistema della Corte costituzionale, ribadita dall’organo stesso nella propria giurisprudenza, sin dalle origini. Si legge così nella sent. n. 13 / 1963 che “la Corte esercita essenzialmente una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia della osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi costituzionali dello Stato e di quelli delle Regioni” e che “è pertanto da respingere l’opinione che la Corte possa essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano, tante sono, e tanto profonde, le differenze tra il compito affidato alla prima, senza precedenti nell’ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali” (cfr. anche, ad es. ord. 536/1995).

Proprio in forza di tale posizione la Corte costituzionale ha potuto, in varie occasioni, giustificare la propria cognizione di vicende legate alla vita interna delle Camere ed ai poteri ad esse attribuiti dalla Costituzione.

Così, con la sent. n. 9 del 1959 la Corte ha ritenuto sindacabili gli atti interni di una Camera (i cosiddetti interna corporis acta) al fine di valutare l’avvenuto rispetto di una norma dell’ordinamento oggettivo, quale l’art. 72 Cost., cui anche l’attività delle Camere è costituzionalmente subordinata.

In altra occasione (sent. 1150/1988), inoltre, la Corte — decidendo un conflitto di attribuzioni sollevato nei confronti del Senato della Repubblica - ha sindacato l’esercizio della prerogativa parlamentare esercitata mediante delibera di insindacabilità di un proprio componente ai sensi dell’art. 68 Cost. In quell’occasione la Corte, rilevando che il potere valutativo in questione dovesse essere esercitato nei limiti stabiliti dalla Costituzione, ha rilevato che il riconoscimento di diritti fondamentali e la previsione di un organo giurisdizionale di garanzia costituzionale giustifica che il predetto potere sia “soggetto ad un controllo di legittimità, operante con lo strumento del conflitto di attribuzione, a norma degli articoli 134 Cost. e 37 della legge n. 87 del 1953”. La Corte ha, nell’occasione, altresì rilevato, che “il conflitto non si configura nei termini di una vindicatio potestis (il potere del Parlamento non è in astratto contestabile), bensì come contestazione dell’altrui potere in concreto, per vizi del procedimento oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso” (sottolineatura aggiunta). Si tratta di un orientamento ormai consolidato da quasi un ventennio.

Ora non appare dubbio che simili argomentazioni siano applicabili anche ai casi di svolgimento, da parte delle Camere, del sindacato sulla validità dei titoli di ammissione dei propri membri. Si tratta infatti di un potere il cui esercizio incide in modo determinante sul godimento di un fondamentale diritto dei cittadini, qual è quello di accedere ai pubblici uffici elettivi, in qualità di appartenenti al popolo, titolare della sovranità, ed in rappresentanza dello stesso.

Un eventuale conflitto di attribuzione in questa materia potrebbe pertanto valere a consentire l’accertamento, da parte della Corte costituzionale, dell’erronea valutazione dei presupposti richiesti per il valido esercizio del potere di convalida, presupposti da riconoscersi in un’interpretazione corretta e conforme a Costituzione della legislazione che costituisce il parametro normativo per la verifica dei titoli di ammissione.

Quanto al profilo soggettivo di un siffatto conflitto, appare sostenibile la legittimazione al ricorso del gruppo parlamentare composto dai parlamentari eletti nell’altro ramo del Parlamento (nella fattispecie, la Camera) sotto il medesimo simbolo dei candidati pretermessi dal giudizio di convalida contestato.

Il riconoscimento in capo a singoli parlamentari, minoranze o frazioni parlamentari dell’idoneità a porsi quali poteri dello Stato è presente da tempo nella letteratura scientifica italiana (MAZZIOTTI, PISANESCHI, BIN). Costantino Mortati riteneva difendibili anche le competenze delle minoranze fissate da norme dei regolamenti parlamentari “esecutivi della Costituzione”.

L’apertura a conflitti tra Camera e frazioni dei suoi componenti è presente, infine, nei passaggi finali della sentenza della Corte costituzionale n. 349/1996 (la sentenza sul caso dei “pianisti”): nell’occasione la Corte riconosce che quando vengono in considerazione beni costituzionali fondamentali per la democrazia “una troppo rigida accezione dell’autonomia parlamentare potrebbe essere ritenuta inappagante”, aggiungendosi che “la giurisprudenza di questa Corte si è mostrata da sempre sensibile alle vicende che comportino la compressione di diritti politici”. In casi successivi, la Corte ha avuto cura di lasciare impregiudicata la questione relativa all’ammissibilità di conflitti di attribuzione in cui sia parte il singolo parlamentare (ord. n. 177/1998). Ed anzi nell’ord. n. 101 del 2000 la Corte ha espressamente affermato che le attribuzioni del singolo parlamentare sono “difendibili mediante lo strumento del conflitto nei confronti dell’autorità giudiziaria”, pur non ravvisandone nel caso sottoposto al suo esame gli altri presupposti processuali.

Nella fattispecie in oggetto, poi, l’interesse del gruppo parlamentare di una Camera per la convalida delle elezioni dei candidati sotto lo stesso simbolo nell’altra, non sembra contestabile, in considerazione della normativa costituzionale ed ordinaria.

Dal primo punto di vista la natura fondamentalmente paritaria del nostro bicameralismo, comportante l’esercizio di funzioni identiche nei due rami del Parlamento, giustifica l’interesse di un gruppo parlamentare ad interloquire con un’omologa rappresentanza nell’altro ramo del Parlamento. A ciò si aggiunga che tale interesse si concretizza in termini giuridici ancora più stringenti ove si considerino le forme organizzative unitarie della vita parlamentare. Si pensi in particolare alle attribuzioni del Parlamento in seduta comune ed alle commissioni bicamerali costituzionalmente previste (la Commissione parlamentare per gli affari regionali, il Comitato per i giudizi d’accusa, la Commissione di vigilanza radiotelevisiva, ecc.) e quelle istituibili per legge o mediante delibera parlamentare (cfr. art. 82 Cost. in tema di commissioni d’inchiesta).

Ora non v’è dubbio che in simili collegi la maggiore o minore consistenza della rappresentanza riconducibile al medesimo raggruppamento politico determini delle conseguenze giuridicamente rilevanti in termini di poteri esercitabili (a cominciare dall’incidenza della rappresentanza nella formazione delle maggioranze) e diritti goduti (si pensi alle dotazioni finanziarie e organizzative).

Sul piano della legislazione ordinaria, la quale costituisce, in questa materia, una diretta attuazione della Costituzione, sembra sufficiente rinviare, in questa sede, alle numerose disposizioni di legge che attribuiscono facoltà, diritti e poteri, in relazione alla consistenza parlamentare della rappresentanza e dei gruppi.

A mero titolo esemplificativo, al fine di dimostrare l’interesse di un gruppo parlamentare ad una rappresentanza omogenea anche nell’altro ramo del Parlamento, basti considerare quanto previsto, per le elezioni di Camera e Senato, dall’art. 18 bis, comma 2, del DPR 361/1957 (richiamato anche dall’art. 9, comma 5 DPR 533/1993), in base al quale “nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi”.

 

6. Conclusioni

Sulla base di quanto precede può conclusivamente affermarsi che:

1) non è richiesto il requisito di un consenso pari al 3 % dei voti validi espressi perché una lista appartenente alla coalizione beneficiaria del premio di maggioranza possa partecipare alla distribuzione dei seggi;

2) in caso di esito negativo del controllo della Giunta o di mancato controllo, sembra ipotizzabile un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale da parte del gruppo parlamentare della Camera leso nel suo interesse ad interloquire con l’omologa rappresentanza nell’altro ramo del Parlamento e alle attribuzioni del gruppo per le funzioni di natura bicamerale.

 

Roma 8 giugno 2006



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