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Capezzone, Bernardini e Cappato scrivono all'Unità

8 agosto 2004

Gentile Direttore,

è noto che molte cose ci dividono dal Suo giornale e dalla linea politico-editoriale de "L’Unità". Ma è pure noto che abbiamo preso atto con grande piacere della chiarezza, della nettezza con cui -direbbero altri…- Lei è sceso in campo per la partita referendaria sulla fecondazione assistita. A maggior ragione perché Lei lo ha fatto dal primo minuto di gioco, e non solo nei tempi supplementari.

Per altro verso, abbiamo registrato l’adesione di tanti, tantissimi elettori di centrosinistra (così come di centrodestra); la collaborazione, a livello locale, di svariate "Feste de L’Unità"; e da ultimo (nell’ambito dell’ulteriore Comitato referendario che, oltre a raccogliere firme sul referendum radicale, cioè quello totalmente abrogativo della legge, è anche impegnato su altri quesiti di "ritaglio parziale"), la partecipazione di alcuni esponenti dei Ds, da Lanfranco Turci a Barbara Pollastrini, da Enrico Morando a Katia Zanotti.

Ovviamente, a questi cittadini, parlamentari e militanti politici va un pieno e grato riconoscimento della buona scelta compiuta. E però…proprio qui cominciano i "però".

Intanto, questi amici si sono trovati nella condizione di aderire solamente "uti singuli", cioè come persone, non potendo contare sulla adesione del partito, dei Ds in quanto tali. Dopo di che, sappiamo bene quanto il segretario Fassino, nelle settimane e nei mesi passati, si sia -purtroppo- prodotto in dichiarazioni disinformate e disinformanti perfino sul numero e la natura dei quesiti referendari, guardandosi bene dal sottoscriverli, finora. Poi, è toccato a Massimo D’Alema, incontrando Luca Coscioni, disseppellire (speravamo tutti che fosse un espediente politico ormai sepolto) la tesi del "referendum stimolo": tradotto in italiano, vuol dire che i militanti raccolgono le firme, e poi in Parlamento si combina qualche altro pasticcetto legislativo per evitare che gli italiani, sul referendum, possano effettivamente pronunciarsi. E per giunta l’effettivo insediamento e la piena operatività dell’altro Comitato referendario, quello comune, sono stati di fatto rinviati a dopo le vacanze (!!!), cioè quando la partita referendaria rischierà di essere del tutto compromessa. Morale: anche a causa di tutto queste scelte, assai ambigue e molto poco mobilitanti, le 150mila firme referendarie raccolte da aprile a giugno sono oggi di fatto inutilizzabili, e chi le ha apposte deve ora rifirmare per essere incluso nella nuova raccolta iniziata il 1° luglio scorso..

Ma ora, a tutto questo, si aggiungono due fatti di estrema gravità. Per un verso, l’obiettiva ostruzione praticata da tante Amministrazioni comunali, che rifiutano una qualunque risposta perfino alle richiesta di mettere a disposizione funzionari che provvedano all’autentica delle firme. E tra queste, spicca purtroppo il Comune di Roma guidato da Walter Veltroni. Ci felicitiamo del fatto che il Sindaco trovi il tempo per occuparsi di tante cose (e anche, qua e là, dell’amministrazione della città), ma constatiamo che (oltre a non avere notizia della sua scelta di firmare o no il referendum) finora la possibilità che funzionari comunali siano messi in condizione di svolgere il servizio civile di autentica previsto e consentito dalla legge è -diciamo così- in alto mare. E perfino una richiesta della Uil, che partecipa al nostro Comitato referendario, giace da giorni senza risposta alcuna.

Dopo di che, e veniamo alla seconda vicenda, "L’Espresso", solitamente bene informato, ci racconta di un incontro tra Piero Fassino e il numero due della Conferenza episcopale italiana, il vescovo Giuseppe Betori. L’alto prelato avrebbe chiesto notizie al segretario dei Ds sulla questione referendaria, e -secondo il settimanale- Fassino avrebbe "rassicurato i vescovi e promesso che la mobilitazione del partito sarà contenuta".

Ora, non solo non ci risultano smentite da parte della segreteria dei Ds rispetto a questa ricostruzione, ma -purtroppo- il quadro dei comportamenti descritti in questa nostra lettera confermano fino in fondo questa scelta strategica.

Siamo davvero a questo, dunque? Siamo al 1974, quando il Pci tentò fino all’ultimo (anche sostenendo acrobatiche proposte parlamentari di compromesso) di impedire il referendum sul divorzio (definito da "L’Unità" di allora, a 40 giorni dal voto, una "jattura")? Trent’anni fa, quella scelta era tesa a "salvaguardare" il disegno del compromesso storico; ma ora cosa c’è da tutelare: forse, il buon umore di Francesco Rutelli, di Rosy Bindi, e -soprattutto- i buoni rapporti con l’establishment d’Oltretevere?

Insomma, il centro-destra (con il …concorso neanche troppo esterno della Margherita) porta tutta intera la responsabilità di una legge illiberale e crudele, e -ancora di più- di una scelta complessiva (dalla droga alle coppie di fatto, dalla fecondazione alla libertà di ricerca scientifica) di regressione, di ferita alle libertà individuali. Ma il centro-sinistra e i Ds che faranno? Staranno con "L’Unità" e con i loro militanti oppure con il vescovo Betori, e i suoi chierichetti margheriti?

Un caro saluto, e grazie per l’ospitalità.

Daniele Capezzone (segretario Radicali italiani)

Rita Bernardini (tesoriera Radicali italiani)

Marco Cappato (segretario Associazione Luca Coscioni



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