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«E' una svolta, deve prevalere la volontà del paziente»

• da QN del 22 gennaio 2007, pag. 6

di Matteo Spicuglia

“La posizione del cardinale Martini è importante perché mette al centro la volontà del paziente”. Maria Antonietta Farina, presidente dei Radicali e vedova di Luca Coscioni commenta con favore le aperture dell'arci­vescovo emerito di Milano, «molto più dia­logante e consapevole del cardinale Ruini». «Martini ha toccato il cuore delle vicende degli ultimi mesi - spiega - e cioè che la de­cisione di un paziente deve essere rispetta­ta, prevalendo sulla volontà dei familiari e dei medici».

 

Eppure il cardinale ha ribadito la sua contrarietà all'eutanasia...

«È vero, ma le sue parole possono essere un contributo per la discussione sulla legge sul testamento biologico. Se il principio espresso dal cardinale venisse considerato, avremmo un'ottima legge».

 

In concreto?

«Per esempio, deve essere chiaro che l'ali­mentazione e la respirazione artificiali pos­sano essere rifiutate dal paziente. E il ri­schio è che aspetti simili non emergano con chiarezza, dato che la vicenda di Welby è ruotata proprio intorno a questo pro­blema. Ci sono però altri due punti interes­santi da evidenziare».

 

Quali sono?

«Il fatto che il cardinale consideri la malat­tia su due fronti: in primo luogo, quello del­le risposte nel breve termine. L'idea cioè che il malato abbia diritto ad una assisten­za adeguata e qualificata, affinchè l'eserci­zio della sua volontà sia chiaro. Al tempo stesso, c'è la consapevolezza che una malat­tia neurodegenerativa debba essere affron­tata in tutte le fasi, anche quando diventa intollerabile».

 

D'accordo, ma una cosa è l'eutanasia e altra la posizione contro l'accani­mento terapeutico. Qual è la sintesi? La battaglia sul testamento biologico è solo un passaggio verso leggi più controverse?

«Sono due cose diverse. Credo che una buo­na legge sul testamento biologico sia in gra­do di risolvere tantissime situazioni. Sull'eutanasia, non bisogna ragionare nei termini di contrapposizione tra chi è per la vita e chi per la morte. Si tratta di far emer­gere un fenomeno che già esiste».

 

Tornando alle parole del cardinale. L'idea è che inalati terminali possano essere accompagnati alla morte attraverso la terapia del dolore. Che ne pensa?

«E un'opzione che non annulla la posizio­ne di un Welby attaccato ad un respiratore. Nel suo caso, il problema era quello. Come si poteva ridurre il trattamento...».

 

E quando non è sufficiente staccare un respiratore, quale può essere il punto di incontro fra le diverse etiche?

«Per prima cosa è importante che il con­fronto prosegua, considerando però che i cittadini sono molto più avanti della classe politica. Per questo, come Radicali, abbia­mo chiesto un'indagine conoscitiva sulla pratica dell'eutanasia clandestina. Un mo­do per ragionare su elementi concreti, per­ché un confronto etico, civile, politico non può prescindere dalla realtà».

 

Risultato?

«La sensazione è che la classe politica ab­bia paura di farsi carico del dolore delle per­sone. Proprio quello che ci sta a cuore».


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