Il sacrificio di Pier Giorgio Welby e la batÂtaglia che assieme a lui hanno condotto l'associazione Luca Coscioni e i RadiÂìcali italiani, ma anche esponenti politici di altri partiti, hanno prodotto risultati di grande rilevanza. Oggi possiamo dire che su due dei temi centrali del confronto innescato dalla vicenda Welby - il no all'acÂcanimento terapeutico e il testamento bioÂlogico - si sono raggiunte posizioni largaÂmente maggioritarie, condivise anche da molti cattolici. Su questi due temi si può dunque pensare - senza per questo "abbasÂsare la guardia" - che si giungerà , in tempi sufficientemente ravvicinati, a una legislaÂzione consona al comune sentire.
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Resta però aperto il tema della eutanaÂsia, su cui è doveroso prendere atto, dopo questi mesi di intenso dibattito, che sia la Chiesa sia la grande maggioranza degli espoÂnenti politici cattolici sono irriducibilmente contrari. La più recente conferma di questo "veto" è venuta nei giorni scorsi dal cardinaÂle Martini, che pure ha sviluppato, sul comÂplesso di questi temi, la riflessione più profonda e più comprensiva rispetto ai valoÂri del mondo laico. «Dal punto di vista giuriÂdico - ha detto tra l'altro Martini - rimane aperta l'esigenza di una norma che consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (inforÂmato) delle cure e consenta di proteggere il medico da eventuali accuse»; «senza - ha però aggiunto - che questo implichi in alcun modo la legalizzazione della eutanasia». E Livia Turco, ministro della Sanità , ha dichiaÂrato che per lei l'eutanasia resta «un tabù».
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Io vorrei perciò spiegare perché, invece, ritengo indispensabile una legge sulla eutaÂnasia. Per farlo richiamo l'attenzione sulla siÂtuazione dei malati per i quali non si pone alÂcun problema di accanimento terapeutico, in quanto gli stessi medici affermano che non sussiste più nessuna speranza di guarigione o anche di semplice miglioramento: nessuna terapia, per loro, è più utile, e anzi spesso l'inÂsistenza in terapie quali la chemio può risulÂtare fatale per il malato. È stato questo il caÂso di mio fratello Michele, malato terminale di leucemia, che era stato rimandato a casa dal centro di Mandelli perché ormai incurabile. Per lui la sola prospettiva - di cui era coÂsciente - rimaneva quella di alcune settimaÂne, ma forse anche di alcuni mesi, di inutili, atroci e crescenti sofferenze. Per questo MiÂchele, che era nel pieno delle sue capacità mentali, aveva chiesto di essere aiutato dai medici a morire subito e serenamente: voleÂva, in una parola, l'eutanasia. Di fronte al riÂfiuto dei medici, egli ha scelto di farla finita gettandosi nel vuoto dal quarto piano.
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Sottolineo - dato che i sostenitori della eutanasia sono descritti dagli integralisti catÂtolici come "portatori di morte" - che MicheÂle invece voleva vivere, tanto che si era sottoÂposto, pur sapendo che le possibilità di guariÂgione erano ridottissime, a due lunghi e doloÂrosissimi cicli di chemioterapia. E ricordo anÂche - per chi sostiene che il problema princiÂpale, in questi casi, è quello di assicurare al malato affetto e assistenza - che egli aveva atÂtorno a sé il massimo di amore e di cure. In situazioni come la sua, dunque, la sola soluÂzione è l'eutanasia. Questo mi sembra il punÂto fondamentale: non dobbiamo cadere, coÂme molti stanno facendo, sia pure con le miÂgliori intenzioni, nella trappola di disquisizioÂni legali, etiche e deontologiche, nel tunnel senza uscita di un dibattito interminabile su "eutanasia attiva, passiva od omissiva" (è quel che avvenne per i referendum sulla proÂcreazione assistita, con il risultato che conoÂsciamo). Nei casi cui mi riferisco non c'è nesÂsuna terapia in corso, nessun problema di acÂcanimento terapeutico, nessuna spina da staccare: c'è solo un essere umano che soffre e che chiede consapevolmente di morire. In questi casi, dunque, l'eutanasia non può che essere attiva, e dobbiamo chiedere che queÂsto sia riconosciuto in una legge. Abbiamo dalla nostra le ormai innumerevoli indagini demoscopiche da cui risulta in modo univoÂco che la maggioranza degli italiani, compreÂsi moltissimi cattolici, è favorevole alla eutaÂnasia. Inoltre, i consuntivi tracciati dai goverÂni del Belgio e dell'Olanda, dove l'eutanasia è legale, ci dimostrano che il sistema di garanÂzie previsto da quelle leggi ha evitato ogni riÂschio di abuso, ogni "strage degli innocenti".
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Dunque, l'unico ostacolo alla approvazione, anche in Italia, di una legge sulla eutaÂnasia, è costituito dalla opposizione della Chiesa e dei cattolici oltranzisti: una opposiÂzione - è bene ricordarlo - che non fu meno decisa nei casi del divorzio e dell'aborto, e che pure non impedì alle forze politiche lai-che di legiferare su queste materie e poi di reÂsistere con successo ai referendum abrogatiÂvi proposti dai cattolici. Ed è bene avere preÂsente il recente sondaggio della Swg, secondo cui il 53% dei cattolici italiani definisce «non corretti» gli interventi della Chiesa sul potere politico italiano riguardo all'eutanasia e agli altri temi "eticamente sensibili".
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Ricordare la vicenda di mio fratello riaÂpre in me una ferita insanabile. Ma lo faccio perché so che Michele avrebbe voluto conÂdurre lui stesso questa battaglia, e anche perÂché solo qualche tempo dopo la sua morte ho scoperto, cercando nei dati dell'Istat, che ogni anno mille malati terminali sono coÂstretti, come Michele, a ricorrere a questa atroce forma di "eutanasia all'italiana". E soÂno i mille il cui suicidio è rilevato dalla polizia e dai carabinieri, cui bisogna aggiungere i tanti malati di cui non conosceremo mai né il numero né la storia: quelli per i quali il mediÂco amico scrive «cause naturali» nel certificaÂto di morte, per evitare ai familiari la riprovaÂzione sociale che circonda i congiunti dei suiÂcidi e anche il rischio di essere accusati di "omicidio del consenziente" o di "aiuto al suicidio", con le gravissime pene previste da una legge fascista di trenta anni fa.
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Concludo con una affermazione forte, che però risponde a una amara, incontestaÂbile verità . Ai tempi dello scontro sull'aborÂto, chi non voleva una legge che lo consenÂtisse condannava le donne all'aborto clanÂdestino: quelle benestanti arricchendo i "cucchiai d'oro"; quelle indigenti andando a farsi massacrare dalle "mammane" (e doÂvrebbe far riflettere il fatto che gli aborti soÂno diminuiti dai 155.399 mila del 1991 ai 123.792 del 2002). Allo stesso modo, chi ogÂgi non consente l'eutanasia condanna miÂgliaia di essere umani alla scelta inumana tra una lunga e vana sofferenza e il suicidio. Non possiamo stare dalla stessa parte: dobÂbiamo, con serenità ma con determinazioÂne, cercare di abbattere questo tabù. Â