«Voglio portaÂre mio marito a casa per farÂlo morire serenamente, coÂme lui ha chiesto. E cerco un medico coraggioso, che lo aiuti. Se nessuno si fa avanti, andremo in Svizzera o in Olanda, dove si può legalÂmente ottenere la fine di queÂsto inutile accanimento teraÂpeutico». Maddalena Soro ha deciso così, dopo che il giudice dell'udienza prelimiÂnare ha accolto la richiesta di archiviazione per il primaÂrio dell'ospedale di Sassari che aveva rifiutato di staccaÂre la spina all'apparecchio che somministra ossigeno e tiene in vita Giovanni NuvoÂli. Il dottor Demetrio Vidili e i medici del reparto di rianiÂmazione — ha deciso il gup — non hanno compiuto alcuÂna violenza privata. Nuvoli ha voluto esprimere la sua amarezza: «Mi tocca anche questa pena», dettata come al solito attraverso il moviÂmento delle palpebre alla compagna che indicava le lettere dell'alfabeto sulla picÂcola lavagna davanti al letto. «Non ce l'abbiamo né con i magistrati né con i medici — ha sottolineato la signora SoÂro — e desideriamo chiarire che non vogliamo obbligare nessuno a compiere atti con-trari alla sua coscienza. Se non sfe la sentono di staccare la spina rispettiamo la loro volontà . Ora dobbiamo troÂvare il modo di far rispettare anche quella di Giovanni. Ci riusciremo».
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Un contatto preliminare c'è già stato con un medico sardo; la risposta fra qualche giorno. Si sta muovendo anche l'Associazione Luca Coscioni. «Ci vorrà del tempo. Il medico starà in casa con Giovanni — spiega MaddaleÂna Soro — dovrà conoscerlo, verificare che veramente la sua volontà sia di morire. E quando mio marito sarà pronto per il trapasso, gli daÂrà un sonnifero e staccherà la macchina dell'ossigeno».
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Le condizioni di Nuvoli sono disperate; l'interruzione della terapia a base di antiÂbiotici, sollecitata dallo stesÂso paziente qualche mese fa, ha dato via libera ad alcune infezioni. Ma nessuno può diÂre quanto ancora potrà duraÂre la resistenza di un corpo distrutto dalla distrofia muÂscolare amiotrofica che lo tormenta e lo costringe alÂl'immobilità da più di sei anÂni. Dall'ospedale si conferma che l'ex allenatore e arbitro di calcio può lasciare il reparÂto rianimazione quando vuoÂle, sotto la sua responsabiliÂtà e nessuno vuoi commentaÂre lo sfogo di Mina, la vedova di Piergiorgio Welby: «Credo che se i medici lo tengono in reparto contro la sua volonÂtà , potrebbero essere passiÂbili di sequestro di persona». Ma il trasferimento a casa non avverrà presto. «Nella nostra abitazione c'è una picÂcola sala di rianimazione; l'aveva fatta installare l'Asl per consentire l'assistenza
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domiciliare. Ma non lascereÂmo l'ospedale finché non avremo trovato un medico buono e coraggioso. GiovanÂni ha paura di avere una crisi respiratoria senza avere acÂcanto chi possa assisterlo e aiutarlo. Vorrebbe un pasÂsaggio non traumatico né doÂloroso dalla vita alla morte». «Un diritto dovuto dalla Costituzione e dal Codice di deontologia medica», ha ribadito la Consulta di bioetiÂca in una nota nella quale si sostiene che «in presenza di documentato rifiuto di perÂsona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atÂti diagnostici e curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà delle persona». Ma c'è chi la pensa diversaÂmente: l'Associazione mediÂci cattolici italiani condivide la decisione della magistratuÂra. Scienza e Vita va oltre: saÂrebbe eutanasia, forse suiciÂdio assistito e bisogna evitaÂre il bis, anche mediatico, del caso Welby.
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