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Nuvoli: "Aiutatemi a scomparire"

• da La Repubblica del 16 febbraio 2007, pag. 35

di Giovanni Maria Bellu

Maddalena sa quando Nuvoli, il marito, ride e quando, in­vece, è arrabbiato. Quando ride, sbatte rapidamente le ciglia e piega leggermente in su quel che resta delle labbra. Quando è arrab­biato, sbarra gli occhi e li rivolge verso l'alto. «Sembra che urli con gli occhi», dice Maddalena. Questo per chia­rire che Nuvoli — lo ha sempre chiamato così, per cognome — sa benissimo quel che accade in questi giorni. Sa che il suo è di­ventato un caso nazionale. Ieri, durante la visita quotidiana, quando Madda­lena gli ha letto i giornali, ha composto un messaggio di tre parole: «Aiutate­mi a sparire».

 

Ha anche scritto una nuova lettera al pubblico ministero che gli ha negato la possibilità di staccare la spina. Una lettera molto tecnica, nella quale ripete di non aver chie­sto alla magistratura di individuare un anestesista disposto ad aiutarlo a morire, ma solo di consentire l'in­gresso in ospedale all'anestesista che darà la sua disponibilità.

 

Secondo Maddalena il senti­mento prevalente di Nuvoli è la rabbia. La rabbia, soprattutto, per tutto ciò che gli appare ipocrita. Ba­sti dire che, l'ultima volta che ha ri­so, è stato pochi giorni fa, quando Maddalena ha sbeffeggiato un prete che si era presentato all'improv­viso nella sala rianimazione. "Chi l'ha mandata?", gli ha chiesto. "Ge­sù" , ha risposto il prete. "A noi Ge­sù non ci ha informati". Il prete ha abbozzato. «Sono venuto per dire a Giovanni—è questo il nome di Nu­voli — che la vita è un dono e deve avere la forza di sopportare fino al­l'ultimo respiro». «Sarebbe stato meglio se ci avesse detto che pre­gherà perché soffra un po' di me­no». Il prete poco dopo se n'è anda­to, mentre Maddalena gliene dice­va qualche altra ancora. A quanto pare, il conforto della Chiesa è arri­vato solo in questi giorni, tardivo. «Quando ho chiesto aiuto e il caso non era sui giornali, mi hanno la­sciata sola».

 

Nuvoli ci sente e ci vede benissi­mo. Siccome la moglie può stare in sala rianimazione un'ora al giorno, ha da trascorrere 23 ore senza com­pagnia. Da quando ha cominciato a rifiutare i farmaci è solo, ma fino a poco tempo fa era in una stanza con altri due letti. E, a sera, durante la vi­sita, faceva a Maddalena la cronaca della giornata e della nottata. «Lui era sempre là, ma gli altri arrivava­no in continuazione e spesso mori­vano. Una volta arrivò un vecchio che parlava ad alta voce: 'Giovan­ni', gridava. Poi la voce gli è diven­tata sempre più roca e mio marito ha capito che se ne stava andando. Una sera hanno messo un separé tra i letti e quel vecchio è morto».

 

«Sono contento di quello che sta succedendo — diceva ieri Nuvoli a proposito della possibilità che il suo caso possa sollecitare l'elabo­razione di una legge chiara — an­che sedevo sopportare l'umiliazione di espormi». È un uomo orgoglioso. «Educato, composto. È sempre stato così: una persona sempre pronta a dare una mano. Ci siamo conosciuti al teatro, dove lui faceva l'amministratore di una compagnia e il suggeritore. Io ero rimasta vedova, con due figli. A un certo punto abbiamo deciso di sposarci. I miei figli l'hanno accettato. Ma certo non potevano chiamarlo papà. È per questo che anche io ho cominciato a chiamarlo per cogno­me».

 

La casa dei Nuvoli à in una zona di campagna alla periferia di Alghero. Una bella casa piena di ricordi. Ci sono molte fotografie di Nuvoli quando era un uomo alto e forte, uno sportivo. Fu nel 2000 che co­minciò a inciampare. Alla fine di quell'anno un medico lo visitò e consigliò degli esami neurologici. Arrivò il primo responso. Aveva una malattia che i medici in gergo chiamavano 'muscoli ballerini'. Detto così non sembrava grave. Poi ne conobbe il nome scientifico: "Sclerosi laterale amiotrofica". "Ma all'inizio non aveva ben chiara la gravità — ricorda Maddalena — Quando già era in sedia a rotelle, un giorno vide Luca Coscioni in tv e disse: 'Ma non finirò anche io così? '. Il decorso è stato fulminante. Mio marito è in queste condizioni dal 2003». Cominciò a pensare di mori­re poco dopo essere stato tracheotomizzato. Quando il suo corpo di­ventò una cosa. Un'appendice inerte del cervello e degli occhi. Trascorre le giornate sentendo musica, a volte per ore lo stesso ed, finché non arriva la moglie e glielo cambia. O gli apre il giornale in mo­do che possa leggerlo. O gli raccon­ta di qualche piccolo benefit in ar­rivo grazie a questa improvvisa popolarità. Il sogno è una macchina che trasformi i battiti delle ciglia in parole, anche se dal suono metalli­co: "Nuvoli — assicura Maddalena — ha molte cose da dire".


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