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La lotta di Luca Coscioni, un anno dopo

• da Il Riformista del 19 febbraio 2007, pag. 1

di Marco Cappato e Maria Antonietta Coscioni

Il 20 febbraio di un anno fa milioni di italiani poterono conoscerlo. Rag­giunti casualmente dalla notizia della sua morte furono finalmente raggiunti dalla conoscenza della sua vita straordinaria. Per un giorno, entrò nelle case de­gli italiani un frammento dei cinque an­ni di lotta di Luca Coscioni rimasta fino ad allora clandestina: candidato "online" al comitato dei Radicali; capolista - come già Tortora e Sciascia - della lista Emma Bonino davanti a Marco Pannella e sostenuto da sessanta premi No­bel (che negli anni successivi diventaro­no cento); presidente di Radicali italia­ni; nonviolento in autoriduzione delle terapie per chiedere legalità e cono­scenza; "cavia" per la sperimentazione sulle staminali; fondatore della associa­zione che porta il suo nome; pioniere di una nuova antropologia che "parla" con gli occhi e con il corpo, che dal corpo malato punta dritto al cuore della politi­ca; leader di un nuovo movimento tran­snazionale per la libertà di ricerca.

 

Il 20 febbraio 2006 (domani fa un anno) un fotogramma di quegli straordinari cinque anni si è introdotto nelle case degli italiani, e la storia di Luca Coscioni potè essere onorata fino ai massi­mi vertici istituzionali. «È nato ora all'Italia», disse Pannella. In tanti l'avranno considerata retorica, martirologio di un tipo ben noto e abusato: «vive e lotta in­sieme a noi». Sette mesi dopo, Piergiorgio Welby inviava al presidente Napole­tano il suo appello per una "morte op­portuna", e questa volta la conoscenza è esplosa nell'opinione pubblica, italiana e mondiale. Ma senza Coscioni, Welby non sarebbe arrivato ai radicali. Arrivò anche lui via "internet", e sul forum www.radicali.it aprì una di­scussione sull'eutanasia che ampliava l'udienza degli ar­ticoli, firmati "II Calibano", sulla "Voce di Rimini".

 

Oggi, dopo e grazie a Welby, Giovanni Nuvoli - un malato di sclerosi laterale amiotrofica di Alghero, che pesa ormai 23 chili, comuni­ca solo con gli occhi e da oltre un anno è condannato a vivere nel reparto di rianimazione dell'ospedale di Sassari con la possibilità di visite soltanto per un'ora al giorno - ha espresso la vo­lontà di ribellarsi alla follia ideologica che ha sequestrato il suo corpo. Ha de­ciso di lottare - e noi ci auguriamo pos­sa trovare la forza di conquistare altro tempo - per affermare e rendere certo il diritto a scegliere le terapie e la loro eventuale interruzione. Il "caso Nuvoli", dopo Coscioni e Welby, è il sinto­mo di una grande questione sociale che riesce finalmente ad affiorare dal mare di omertà e clandestinità. È il caso di tutte le persone malate che sono "gestite" contro o senza che si tenga conto della loro volontà, senza che sia­no rispettati come persone. E non so­no, certamente, casi isolati.

 

Tre anni dopo l'entrata in vigore della legge 40, il 20 febbraio è la data di qualcosa che nasce: sarà la "Giornata per la libertà di ricerca". Non una ricorrenza funebre, ma la festa di una memoria viva, puntata su obiettivi attuali. In primo luogo, l'abolizione di una legge clericale e ideologica - la 40/2004 - che rischia di sopravvivere, se dimenticata, un'altra legislatura. Siamo convinti che ci siano persino nel Parlamento italiano margini quantomeno per la riforma di quella legge, se soltanto sarà affidata al pieno  coinvolgimento  dell'opinione pubblica sottratta al lavoro di "vertici" e "tavoli" delle mediazioni all'Italiana. «Non possiamo aspettare le scuse di uno dei prossimi papi», diceva Luca. Il 20 febbraio continuerà ad essere la gior­nata di chi non può aspettare. 



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