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Welby, non fu eutanasia. La perizia assolve il medico

• da L'Unità del 22 febbraio 2007, pag. 10

di Anna Tarquini

Non fu eutanasia, aveva ragione Wel­by. E né l'anestesista Mario Riccio, né Marco Cappato potranno essere accusati di omici­dio per avergli staccato il respiratore. Gli atti che la Procura di Roma si appresta a firmare sono una rivolu­zione, una svolta, un precedente che aprirà la strada a molte altre battaglie. Ieri è stata de­positata la perizia che i magistrati che avevano chiesto nel procedi­mento avviato contro il medico e Cappato e dice che la dose di seda­tivo iniettata nelle vene di Welby non fu mortale.

 

È un particolare che segna la diffe­renza. E per sempre. Perché per mesi si è discusso se staccare il re­spiratore così come chiedeva Wel­by potesse definirsi eutanasia (cioè un delitto) o fine dell'accani­mento terapeutico (cioè un dirit­to costituzionalmente garantito). E il discrimine passava proprio per quella sostanza che avrebbe addormentato Welby per non far­lo soffrire troppo mentre qualcuno lo staccava dalla macchina che lo teneva in vita. Si domandava: morirà per effetto dei barbiturici ingeriti o perché il polmone artifi­ciale smetterà di funzionare? Nel secondo caso, va da sé, sarebbe sta­to un atto lecito, seppur contro­verso. Lo avrebbe potuto fare an­che Welby, senza coinvolgere al­tri. Nel secondo no, perché l'euta­nasia è appunto provocare attiva­mente la morte e iniettare un far­maco che causa la morte è eutana­sia. E Welby chiedeva di essere aiu­tato a morire, cioè di essere posto in condizioni di non soffrire con l'aiuto delle medicine. La differen­za era tutta qui. E per mesi se ne è discusso, per mesi se ne sono occu­pati politici e tribunali, medici e preti. Senza soluzione. La risposta che fa la differenza è arrivata ieri sul tavolo dei magistrati che han­no aperto l'inchiesta: i livelli di sedazione nel sangue erano nella norma, Welby è morto perché nessuna macchina si accaniva a te­nerlo in vita. Il procuratore Gio­vanni Fenara e il pm Gustavo De Marinis avevano chiesto ad un po­ol di esperti, tra cui la tossicologa Federica Umani Ronchi, di stabili­re se la dose di benzodiazepina (un sedativo), fatta scorrere in una flebo nelle vene di Welby, avesse in qualche modo determi­nato, o meglio fosse stata concau­sa, del decesso del paziente diven­tato nei mesi scorsi simbolo della battaglia dei Radicali Italiani, e dell'associazione sulla autodeterminazione e sulla scelta di interrompere o meno una terapia, anche salvavita, co­me la ventilazione assistita da una macchina. L'esame tossicologico ha assolto il medico: i livelli della benzodiazepina non sareb­bero stati tali da determinare una concausa per il decesso di Welby determinato invece dalla interru­zione della ventilazione assistita così come chiesto dal paziente stesso. Adesso si va verso la richie­sta di archiviazione che potrà for-malmente essere chiesta dai magi­strati solo nei prossimi giorni e che segue un analogo adottato dall'Ordine dei Medici di Milano proprio sul comportamento deon­tologico del dottor Riccio che non fu censurato dall'organismo pro­fessionale. «Abbiamo condotto, insieme all'Associazione Luca Coscioni e agli amici Radicali, il no­stro impegno per percorrere la strada della legalità» è stato il com­mento del dottar Riccio. «Non è stata eutanasia, ma interruzione di un trattamento richiesto dal pa­ziente Piergiorgio Welby» ha com­mentato il presidente dell'ordine dei medici di Cremona, Andrea Bianchi. Aveva ragione lui, e ades­so sarà difficile per chi gli ha dato addosso anche da morto, sostene­re il contrario.

 



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