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Respinta la richiesta di archiviazione: processo per il medico che aiutò Welby a morire

• da Secolo XIX del 2 aprile 2007, pag. 5

di Luca De Carolis

Niente archiviazione per Mario Riccio, l'anestesista che il 20 di­cembre scorso staccò dal respiratore Piergiorgio Welby. Il gip di Roma Re­nato Laviola ha respinto la richiesta di non luogo a procedere presentata dalla procura della Capitale, che aveva iscritto sul registro degli indagati il medico di Cremona con l'accusa di "omicidio del consenziente". Un reato previsto dall'articolo 579 del codice penale, che sanziona "chiunque ca­gioni la morte di un uomo con il suo consenso" con pene che vanno dai 6 ai 15 anni di reclusione. Il prezzo per chi ha praticato apertamente l'eutanasia. Come Riccio, che nella notte tra il 20 e il 21 dicembre 2006 aiutò a morire Welby, affetto da distrofia muscolare amiotrofica e ormai incapace anche di deglutire costretto a letto nella sua casa a Roma, dove rimaneva attaccato costantemente al respiratore. Una sofferenza immane, che in settembre l'aveva spinto a lanciare un appello anche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in cui chiedeva che lo lasciassero morire. Il capo dello Stato replicò sollecitando la discus­sione del Parlamento sull'eutanasia. Ma dopo settimane di polemiche e di­scussioni nulla si era mosso. Così Welby si rivolse anche al tribunale civile di Roma, che il 16 dicembre re­spinse come "inammissibile" la sua ri­chiesta per la mancanza di una legge precisa in materia. L'uomo allora scelse di morire con l'aiuto di Riccio, rintracciato dai Radicali (di cui Welby, co-presidente dell'associazione Luca Coscioni era un militante). La pro­cura di Roma, che aveva aperto un'in­chiesta sul caso, il 6 marzo scorso ha chiesto l'archiviazione al gip del pro­cedimento a carico dell'anestesista. Secondo il procuratore Giovanni Fer­rara e il sostituto Gustavo De Marinis, il medico non va rinviato a giudizio, perché ha semplicemente attuato il diritto di un paziente «la cui fonte - si legge nella richiesta di archiviazione -si trova nella Costituzione e in disposi­zioni internazionali recepite dall'ordinamento italiano, nonché ribadito in fonte di grado secondario dal codice di deontologia medica». A detta dei pm quindi Riccio non ha violato nessuna norma. Una convinzione suffragata dai risultati dell'autopsia su Welby, da cui ha emerso che, dopo essere stato staccato dal respiratore, l'uomo non subì "un avvelenamento da seda­zione". Le medicine dategli da Riccio lo aiutarono solo ad addormentarsi, per poi morire senza provare dolore. Considerazioni che evidentemente non sono bastate a Laviola. Dalla pro­cura però fanno sapere che ribadi­ranno la loro posizione nell'udienza in camera di consiglio , dopo la quale il gip deciderà se rinviare o meno a giu­dizio Riccio. Ieri l'anestesista si è detto sorpreso: «Non mi aspettavo che il gip rigettasse l'archiviazione, visto anche che i suoi contenuti erano molto netti, anche rispetto a quanto detto nella perizia. Resto comunque dell'opinione che sia stato giusto fare quello che ho fatto. Siamo pronti a chiarire tutto di fronte al giudice e a dimostrare il per­corso di legalità che abbiamo seguito». In un comunicato, gli esponenti radicali Marco Pannella e Marco Cappato hanno commentato: «Non compren­diamo la decisione del gip, in quanto il collegio dei consulenti medici dopo l'autopsia su Welby aveva dichiarato che l'insufficienza respiratoria per cui è morto era stata dovuta alla sua inca­pacità di respirare autonomamente per la distrofia, e non a farmaci som­ministratigli».


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