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Lettere / Welby, il gip insiste: processatelo. E noi rilanciamo: assumiamoci le spese

• da Europa del 4 aprile 2007, pag. 10

di Federico Orlando

Cara Europa, quando morì Piergiorgio Welby, il 20 dicembre scorso, nella sacra commedia dell’arte su tavole infrante, leggi e “valori” violati, eutanasia, accanimento, preti e radicali, si profilò un rinvio a giudizio per il dottor Mario Riccio, che aveva “staccato la spina”. Poi il cancan politico-religioso-giudiziario sembrò rientrare, la procura di Roma chiese l’archiviazione del “caso Riccio”.
Ora un gip “misirizzi”, come diceva Montanelli dei primi della classe, chiede invece l’iscrizione del medico nel registro degli indagati, con l’accusa di “omicidio del consenziente”.
E noi, fautori della dignità dell’uomo nella morte, dobbiamo subire quest’ennesimo affronto?
MASSIMO DELL’ALBA, ROMA

Risponde Federico Orlando: Caro Dell’Alba, un magistrato che interpreta una norma e adotta un provvedimento non fa affronti, tutt’al più sbaglia a interpretare la norma e adotta provvedimenti inappropriati. Questo però lo stabiliranno gli altri magistrati, non noi. Del resto, nulla è cambiato nei 90 giorni dalla morte di Welby, salvo Ruini. Non è cambiata la posizione del gip Laviola, che già prima della morte di Welby, di fronte a una richiesta di parere del tribunale civile, aveva espresso un orientamento coerente con la sua decisione di oggi. Ciò nonostante, a favore del “distacco della spina” si erano pronunciati non solo il tribunale civile e l’ordine dei medici ma, come s’è detto, anche la procura. La quale ora insiste, non meno del gip, il cui provvedimento risponde forse a esigenze tecniche, nella richiesta di archiviazione: perché, come avevano scritto il procuratore Ferrara e il pm De Marinis, «nessun addebito deve muoversi a chi, in presenza di un’impossibilità fisica del paziente, abbia materialmente operato il distacco del ventilatore automatico, in quanto l’azione è stata operata per dare effettività al diritto del paziente»: diritto all’autodeterminazione, che «trova la sua fonte nella Costituzione e in disposizioni internazionali recepite dall’ordinamento italiano e ribadite, in fonte di grado secondario, dal codice di deontologia medica».
Così stando le cose, fra l’applauso dei clericofascisti di An al gip (guai a chi spreca la carità per gli umili invece di riservarla tutta ai potenti, che possono comprarla), e l’urgenza, sottolineata da altri, di uscire dal medioevo ideologico facendo subito una legge contro l’accanimento terapeutico (la ministra Turco e il presidente Prodi ascoltano?), così stando le cose, dicevo, a noi cittadini è riservato un ruolo, solo apparentemente modesto: mettere mano al portafoglio e inviare un contributo, sia pure piccolo, all’Associazione “Luca Coscioni” che si trova, senza mezzi, a dover sostenere le spese processuali. Su Europa del 27 dicembre lanciammo questo invito ai lettori, che in maggioranza sono cattolici, e dunque conoscono i doveri della solidarietà umana. Che le cose andassero in modo non del tutto rassicurante per il generoso anestesista cremonese, infatti, s’era capito anche allora: «Sono più di novanta giorni che Piergiorgio è morto – dice ora la moglie Mina – e non ce l’- hanno ancora restituito», benché l’autopsia abbia rilevato che non aveva più nemmeno i muscoli interni e sarebbe vissuto (si fa per dire) solo pochi giorni. I lettori che vorranno solidarizzare con Mina Welby, col dottor Riccio e con l’on. Cappato potranno servirsi del c/c postale n. 41025677 intestato “Associazione Luca Coscioni”, via di Torre Argentina 76, 00186 Roma. Il nostro aiuto ai compartecipi di questo dramma servirà anche a dare coraggio al legislatore riformista e ai tanti medici che vorrebbero usare la carità verso chi la invoca, ma sono schiacciati tra i fulmini dell’obiezione di coscienza e quelli delle legge-non-legge. Che, come l’idra, ha tante teste: per una che ne tagli, altre dieci sono pronte a stritolarti.



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