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Testamento per la vita o per la morte? Parlano i medici

• da Il Foglio del 21 giugno 2007, pag. 2

di Maurizio Crippa

"Se lo scopo del c.d. testamento biologico fosse evitare l'accanimento tera­peutico, lo si giudica uno strumento totalmente superfluo perché già vietato dal Co­dice deontologico; se lo scopo fosse l'intro­duzione di un mezzo per l'applicazione - più o meno surrettizia - di pratiche eutanasiche, allora sarebbe qualcosa di molto peggio che superfluo". Così il documento dell'Ordine dei medici e odontoiatri di Milano (la se­conda federazione nazionale per importanza) reso noto lunedì, dopo un convegno sul­l'argomento svoltosi nel weekend. Dell'importanza e del peso di una simile presa di posizione ufficiale - proprio mentre si avvia in commissione Sanità del Senato l'esame dei ben dieci disegni di legge depositati- si è subito accorta l'associazione Luca Coscioni, che per bocca del vicesegretario Rocco Berardo lo ha attaccato come "inutile e dan­noso" l'intervento dell'Ordine milanese. Che invece un peso avrà, in quanto fratto di un percorso tutt'altro che estemporaneo.

 

Innanzitutto perché i medici di Milano pongono come basilare l'idea di "alleanza terapeutica", "un rapporto tra persone che condividono gli stessi principi... particolar­mente importante proprio in fine vita, quan­do la tecnica medica deve chinare la testa davanti al mistero della morte". In secondo luogo, il documento si colloca all'interno di un acceso dibattito nel mondo medico. Sette mesi fa, il 16 dicembre 2006, proprio nel pie­no del caso Welby, la Federazione naziona­le dell'Ordine dei medici chirurghi e odon­toiatri (FNOMCeO) presentava a Milano il nuovo Codice deontologico, frutto del lavoro di un comitato ristretto di cinque persone. Testo frutto di compromessi, frizioni, anche contestato, delicato proprio nei passaggi re­lativi alle problematiche del rapporto con il paziente e della fine vita. Qualche mese do­po, è stato approvato anche il nuovo "Giura­mento" professionale, in cui è stato inserito l'impegno a "promuovere l'alleanza terapeutica con il paziente basata sulla fiducia reciproca". Valerio Brucoli, medico e presi­dente della commissione di Bioetica del­l'Ordine di Milano, a quel comitato ristretto ha partecipato e ne spiega i nessi con il do­cumento milanese: "E' stato importante in­serire quel comma. Quella definizione - di­versa dal 'contratto terapeutico', per cui al­la fine il paziente diventa colui che decide il 'servizio' e il medico solo un tecnico specia­lizzato - arriva al cuore del problema delle cure in fine di vita. E chiarisce che le deci­sioni vanno prese, sono di fatto sempre prese, all'interno di un rapporto fiduciario". Ov­vio, spiega Brucoli, tutto va bene quando c'è sintonia di valori. IIlproblema sorge quando non c'è: "La presa di posizione di Milano si­gnifica un'opzione perché in questi casi la responsabilità del medico non sia cassata, sminuita. Per questo ribadiamo che una leg­ge è inutile: le regole deontologiche per evi­tare l'accanimento, o viceversa contro l'ab­bandono ci sono già. La legge aprirebbe una

finestra sulla possibilità che a decidere non sia più il medico assieme al paziente e ai fa­miliari, ma solo il paziente, o peggio ancora un complesso burocratico". Altro punto che Brucoli ritiene infatti importante è quello dell'autodeterminazione, principio afferma­to dall'articolo 32 della Costituzione. "Al no­stro convegno, Paolo Casavola ha però riba­dito che l'autodeterminazione non è assolu­ta, non può mai diventare diritto al suici­dio". Ieri, anche un editoriale di Avvenire sosteneva la stessa causa: "Nel momento in cui la vita diviene per legge un bene dispo­nibile tutto può accadere", denunciando poi il testamento biologico faciliterebbe una "eutanasia per omissione".

 

Non tutti i medici la pensano così. Il pol­so lo sì misurerà in un appuntamento crac-viale, il 6 luglio, quando si svolgerà a Udine un convegno nazionale del FNOMEeO sul te­ma "Etica di fine vita: percorsi per scelte re­sponsabili", in cui verrà presentata una ricerca realizzata tra medici circa i "compor­tamenti e le pratiche da porre in essere al capezzale del malato terminale nel rispetto del Codice deontologico". Le posizioni di­vergono, lo ha spiegato lo stesso presidente nazionale, Amedeo Bianco, e per i promoto­ri è anche "una iniziativa con la quale la professione intende promuovere norme per garantire i medici sotto il profilo legale". E forse non è un caso che si svolga a Udine, do­ve recentemente l'Ordine provinciale ha ap­provato, autonomamente, un "modello stan­dard" di testamento biologico.

 

Tutto questo inciderà sulla partita politi­ca. Martedì è ripreso il dibattito in Senato. Dopo la decisione della relatrice Fiorenza Bassoli di non presentare un testo unificato, i lavori procederanno a rilento ("tempi bi­blici", tuona Antonio Del Pennino, firmata­rio di uno dei disegni di legge). Difficile po­sizione in cui si è venuto a trovare il presi­dente della Commissione, il professor Ignazio Marino, cattolico e senatore nella sini­stra, autore egli stesso di un disegno deposi­tato un anno fa. Marino tiene molto a con­durre in porto l'impresa, e lancia appelli fiduciosi: "Non credo che sia difficile trovare una sintesi fra i vari disegni di legge anche perché se poi andiamo nel merito si diffe­renziano per pochissime questioni". Le dif­ferenze invece sono enormi. Dalla necessità della legge stessa (per Marino, "in assenza dì una normativa sul testamento biologico, a decidere sia alla fine il medico o il rianima­tore, e spesso decide da solo", posizione op­posta a quella di Milano). Al problema del­l'alimentazione e idratazione, il decisivo no­do medico da sciogliere. In realtà, il Comi­tato nazionale di bioetica l'ha già sciolto, sta­bilendo che nutrizione e idratazione non so­no rifiutabili né sospendigli, in quanto non si tratta di terapie. Martedì, a sorpresa, tutti si sono detti d'accordo su questo punto, prendendo in contropiede i sostenitori del la tesi opposta, tra cui proprio Marino.

 



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